Francesco compositore

 

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La musica è stata importante per Francesco; questo emerge ripetutamente dalle sue biografie.
Egli durante tutta la vita ha cantato in francese, umbro, latino; e, secondo Tommaso da Celano, aveva una bella voce (1).
Tra i suoi scritti troviamo alcuni testi composti per essere cantati.
Lo sappiamo sia dalle antiche biografie, sia dal ms. 338 della biblioteca di Assisi (1260 ca.), dove sopra alcuni testi si trovano righe per la musica.
Purtroppo le righe rimasero vuote, e non sapremo mai con precisione quale melodia vi cantasse o improvvisasse lo «Jaculator Domini».

Possiamo però immaginare quale tipo di musica egli avesse davanti agli occhi (o meglio negli orecchi).
Forse questa immaginazione ci porta a formulare un'ipotesi.

A tutt'oggi abbiamo una visione romantica del «comporre», ereditata dal sec. XIX.
Il musicista medievale intendeva il comporre in modo più artigianale. Spesso intendeva «comporre» letteralmente: «mettere insieme»: soprattutto se si trattava di canti spirituali monodici.
Non aveva nessuna difficoltà a «mettere insieme» un'aria tratta da piccoli motivi «passepartout» (l'antico principio gregoriano di «centonizzazione»).
Il «mettere insieme» può anche significare la combinazione di una melodia preesistente con un testo nuovo: nel qual caso il «comporre» si chiama «contraffattura».

Così la famosa canzone di Bacco del Magnifico:

    «Quant'è bella giovinezza / che si fugge tuttavia!
    Chi vuoi esser lieto sia / del doman non c'è certezza».

Venne contraffatta così:

    «Quant'è grande la bellezza / di te, Vergin santa e pia!
    Ciascun laudi te, Maria, / ciascun canti in gran dolcezza».

Il vantaggio era che così ognuno poteva subito cantare insieme una nuova canzone.
Il contraffattore, se aveva capito il suo mestiere, si curava che rimanesse conservata la relazione tra l'antico e il nuovo testo nella costruzione del verso, capoverso e rima.
Diventava più compositore nel senso moderno, quando non prendeva la melodia esistente così com'era, ma solo in parte; per questo faceva appello alla sua fantasia: cosicché il «componere» arrivava a significare la combinazione dell'antico con il nuovo.

Questo accadeva di preferenza con i modelli tratti dal canto gregoriano.
E' da notare che la musica occidentale, sia monodica che polifonica, conservò a lungo il legame con l'antico linguaggio musicale liturgico, anche quando ormai da tempo aveva preso, in pratica, altre strade: come se in questa maniera avesse voluto preservarsi da una specie di eresia musicale.

Poiché il canto gregoriano era una specie di pendant musicale della Bibbia, si avvalora volentieri la propria musica con citazioni del canto liturgico, così come si avvalora il proprio testo con citazioni bibliche.
Di quest'ultimo uso, ufficialmente si trova un esempio migliore di quello degli «Opuscula» di Francesco.
Per questo dobbiamo già presumere che egli, nella musica, operasse nella stessa maniera. Ovviamente non soltanto per questo.

La maggior parte dei canti spirituali medievali sono sorti da «contraffati», interi o parziali.
Della composizione di canti del tempo e dell'ambiente di Francesco sappiamo, a dir vero, poco; ma un mezzo secolo più tardi sembra che molte melodie del libro di canti di ispirazione francescana (il ms. Cortona 91) (2), si siano sviluppati nella stessa maniera.

Accanto a piccole arie, che indicano piuttosto la loro origine dal canto laico popolare, troviamo continuamente citazioni e parafrasi del gregoriano, di quello semplice, comune, piuttosto tardivo, di inni popolari, sequenze, Kyrie, e qualche antifona.

C'è, per esempio, un canto su s. Francesco (n. 36), il cui testo traduce interi periodi dell'«Ufficio ritmico» che Giuliano da Spira compose per il santo.
La melodia è basata su un frammento della prima antifona dei vespri di quell'ufficio: «Franciscus vir catholicus».

Certe altre melodie fanno riferimento al prediletto inno a Maria: «Ave, maris Stella».
Nel canto 3°, avviene, per esempio, così:

 

Do appositamente quest'esempio, poiché è da immaginare che la «Salutatio beatae Virginis» di Francesco, sia in connessione con l'«Ave, maris Stella» in un modo analogo, se non addirittura il capolavoro permane letteralmente in quel «Canto di Cortona» (3).

Poiché quando esaminiamo se, attraverso questo ampio processo di composizione, possiamo avvicinarci maggiormente a quanto cantava Francesco, non basta naturalmente chiederci da dove egli abbia preso i modelli, ma anche se la devozione posteriore si sia servita dei canti suoi in maniera simile.

Lo sviluppo che seguì il canto italiano nel mezzo secolo successivo alla morte del santo, rende ben poco possibile una citazione di un'intera melodia, ma lascia ampio spazio a frammenti e parafrasi.

Ne daremo in seguito degli esempi.
Ma prima di penetrare più da vicino negli aspetti musicali, dobbiamo tentare di rilevare quali testi degli «Opuscula» siano stati intesi come veri testi per il canto.

Si tratta inoltre di testi per lo più lirici, che comunemente vengono riuniti sotto il nome di «Laudes».
Questo, nella maggior parte dei casi, è conforme a quanto indicano i manoscritti e le biografie; e il termine «Cantici di lode» può comprendere tutto.

Ciò che genera confusione è il fatto - mi sembra a partire da K. Esser (4) - che si adoperi il termine italiano di «laude» al singolare per indicare testi del genere.
Una lauda - quella qui intesa - è una canzone cantata, scritta in versi raggruppati quasi sempre in strofe, per lo più in italiano.
Come vi si possa collocare una parte della «Regola» del 1221 o la «Exhortatio» del 1213, intese chiaramente per essere lette, mi sfugge.

Per quanto vorrei limitarmi ai testi di cui è dimostrabile che fossero dotati di una melodia.
Essi sono prima di tutto il «Cantico di frate Sole» e il presunto «Canto delle Clarisse» recentemente ritrovato, per il quale sia la Compilatio Assisiensis che lo Speculum Perfectionis affermano espressamente che lo stesso Francesco abbia composto un'aria (5).

Il ms. 338 di Assisi, tranne che per l'intonazione dei salmi e il «Cantico di frate Sole», lascia spazi vuoti per le note musicali anche sopra l'antifona «Sancta Maria» (f. 34v) e sopra il «Benedicamus Domino» (f. 35v.).

Non c'è invece spazio vuoto - questo mi sembra importante - sopra la «Salutatio Virtutum» (f. 32v.) né sopra le «Laudes ad omnes horas» (f. 34v.), che del resto sono costituite in forma chiaramente salmodica (6).

Il Saluto a Maria, più sopra messo in rapporto con l'«Ave, maris Stella», non appare nel ms. 338, come non appaiono le «Laudes Dei altissimi» composte alla Verna.
L'autografo di quest'ultimo panegirico e la storia che vi ci è aggiunta non suggeriscono alcuna melodia (né, direi, l'intenzione, così palese del «Cantico del Sole», di essere divulgato, dato che sul rovescio della pergamena fu scritta quella privatissima «Benedizione per frate Leone»); la costruzione fa pensare più o meno ad una litanìa.

Alla base dell'antifona «Sancta Maria Virgo», c'è una più antica antifona, che pare sia stata amplificata da Francesco (8).

E' un metodo, questo, seguito più volte da lui, anche se si trattava di testi probabilmente non destinati al canto, come per la parafrasi del «Pater noster».
La tecnica si situa tra quello che in liturgia viene chiamato «tropo», che indica una melodia gregoriana senza parole («melisma»), che veniva munita di parola, ovvero un canto gregoriano già esistente, privato delle proprie parole: preceduto, interrotto e chiuso da nuove frasi con nuove note.

Il «tropo» era nel tardo Medioevo una vera moda, e più sotto ne citeremo un esempio che abbiamo potuto ricostruire.
Dall'originale antifona «Maria Virgo» ho finora trovato soltanto l'incipit «Virgo Maria non est» del 7° tono, in un Antifonario di Lucca.
Non dovrebbe essere difficile trovarne il resto.

Il presunto canto delle Clarisse: «Audite poverelle» (9) è un inno a quartine in strofe monorime, talvolta con assonanza; perciò è costruito in modo più solido e forse anche di altra origine dal «Cantico di frate Sole».

A partire dal sec. XII l'inno monorima (AAAA/BBBB etc.) fu in ripresa (Jesu dulcis memoria) e dalla metà del sec. XIII si diffuse anche in lingua volgare; ma ciò che fa diverso l'«Audite poverelle» da quel tipo di testi è la lunghezza dei versi.

Ad una lettura ad alta voce della prima strofa, per individuare dove sarebbero dovuti cadere gli accenti forti nella melodia, mi ha colpito il fatto che il primo verso ha la medesima struttura della prima lauda del ms. cortonese: comincia con lo stesso imperativo e finisce con la stessa assonanza; caratteristiche classiche di un «contraffatto».

Alla base della melodia c'è evidentemente il «Kyrie» che, in stadio posteriore, approderà alla «Missa 8a» (De Angelis).

Potrebbero forse celarsi nel Laudario cortonese ancora altri «contraffatti» di testi francescani?
Ecco ad esempio una melodia che era probabilmente popolare (impiegata due volte) e che si qualifica - con termine moderno - a tre tempi.
Inizia così la 7a lauda cortonese:

 musica


Anche qui la melodia attinge al gregoriano.
Il motivo si ritrova frequentemente nei canti in 6° tono dell'Ordinarium.

Come potrebbe essere elaborato eventualmente nel «Cantico di frate Sol» è difficile da indovinare, vista la libertà con la quale la più famosa creazione di Francesco struttura le strofe, ora in due, ora in tre o più versi.

E' comprensibile la tentazione di collegare il «Cantico delle Creature», tradotto in latino, con la formula del cantico «Benedictus» dei sabati dei «Quattrotempi».
«I tre ragazzi della fornace» hanno dato un'evidente ispirazione, e in fondo l'unico modo per sottoporre senza forzature il «Cantico del Sole» straficamente ad una melodia, sta appunto nei recitativi liberi della salmodia (10).

Però, in questo caso, i frati non avrebbero avuto bisogno di impararne la melodia, come ci assicura il biografo, né avrebbe temuto frate Elia che il canto fosse di scandalo attorno ad un moribondo (11).
A prescindere se questa insinuazione sia vera o meno, dal fatto che il biografo l'annotò, risulta che lui considerava allegra questa melodia e non specificamente ecclesiastica.
Perciò anche volerla interpretare come «lassa» è discutibile: la vera «lassa» (che è d'altronde narrativa) si serve di un recitativo elementare che proviene dalla «litanìa» (12).

Converrebbe piuttosto pensare a queste melodie tardo-medievali, tipo popolare, dell'Ordinarium (sia della Messa, sia dell'Ufficio), che pure si trovano tanto spesso alla base del Laudario cortonese 91, e che sicuramente non venivano cantate con la stessa durata.

Più professionale forse: cantate nel ritmo eguagliatore, propostoci nell'edizione di Solesmes.
Oltre a quelle del «Kyrie», potevano servire, tra l'altro, le melodie del «Benedicamus Domino».

Passiamo ad esaminare quanto costituisce inconfondibilmente un «tropo» sul «Benedicamus» di Francesco.
Ecco il testo con la punteggiatura del ms. 338 di Assisi (che ha avuto una funzione importante anche nella determinazione dei versi del «Cantico di frate Sole»: «Benedicamus Domino Deo vivo et vero. Laudem gloriam honorem. Benedictionem et omnia bona referamus ei semper. Amen fiat fiat».

Il testo del «tropo» è sicuramente di Francesco: compare ripetutamente negli «Opuscula» con leggere varianti (13).
Secondo il ms. 338 egli cantava il «tropo» sempre in chiusura dell'Ufficio.
Ma un «tropo» si serve di una melodia liturgica esistente.
Quale potrebbe essere questa melodia?
Nella sua edizione dell'«Ufficio ritmico» di Giuliano da Spira, Eliseo Bruning ha combinato un «Benedicamus» che egli dichiara di aver incontrato «in fere omnibus Ordinis Antifonariis Italiae saec. XIV-XV» indicato in una postilla come «de S. Francisco» o qualcosa di simile (14). Si tratta della melodia che la Editio Vaticana propone per le lodi in «Festis duplicibus»:

 


Questa è ovviamente la melodia su cui Francesco cantava il suo «tropo» quotidiano.
Tutte le altre melodie del «Benedicamus», che io conosco, sono o troppo lunghe o troppo corte per questo testo.
Mentre questa corrisponde anche alla punteggiatura del ms. 338.

Personalmente, inoltre, mi ha convinta quell'«amen amen fiat fiat».
Se le parole non provenissero da Francesco, dovremmo parlare irrispettosamente di una «toppa» sulla misura esatta delle ultime otto note.

Il quotidiano saluto di congedo liturgico di Francesco doveva suonare a un dispresso così:


Questo deve essere stato il mondo musicale in cui Francesco si mosse dopo la sua conversione.

Rendendoci ora conto che il suo «tropo» si avvicina ad una traduzione quasi letterale delle prime righe del «Cantico di frate Sole», si intravvede allora anche, accanto alla canzone «Altissima Luce», un probabile secondo spunto musicale per la melodia del «Cantico di frate Sole».
Ci potremmo almeno domandare se il santo nel 1225, quando completò il suo «Cantico di lode umbro», nel ricercare una melodia non si sia rivolto al suo prediletto «Benedicamus».


Helene Nolthenius
(musicologa e scrittrice olandese)

 

Chi volesse ascoltare il «Benedicamus Domino», clicchi: 

 

 

NOTE

 

    1-  I Cel. 83 e 86.

    2- Edito da F. Liuzzi: La Lauda e i primordi della melodia italiana (Roma 1934), I vol. La nostra numerazione si rifa a questa edizione.

    3- Almeno nella versione degli Opuscula, edizione del 1904 (Quaracchi) «Ave domina sancta, regina sanctissima»; la lezione preferita da Esser «Ave domina, sancta Regina, sancta Dei genitrix Maria»; in: Die Opuscula des H. Franziscus von Assisi, Grottaferrata 1976, p. 417 concorda di meno. Tuttavia anche quella versione è più vicina all'inno «Ave maris Stella», che al «Saluto dell'angelo», da Luca 1,28, con il quale, tra gli altri, L. Lehmann (Tiefe und Weite, Der universale Grundzug in den Gebeten des Franziscus von Assisi, Werl/Wf 1984, p. 104) paragona la «Salutatio».

    4- In «Exortatio ad laudem Dei», in AFH 67, 1974; quindi negli Opuscula. Una più precisa descrizione in L. Lehmann, p. 61 e seg.

    5- Compilatio Assisiensis, ed. M. Bigaroni (Assisi 1975) 83 (p. 263) e 85 (p.244); Speculum Perfectionis (ed. P. Sabatier, Manchester, 1928), 4.

    6-  La scrittura del testo e della musica nel Medioevo veniva eseguita per lo più da due diversi copisti, ogni tanto accadeva che lo scrittore di note se ne andava in contumacia. Lo scrittore del testo del ms. 338 si preoccupò di lasciare spazio per le note, ma lo fece in modo molto negligente. Il numero delle righe che egli lasciava libere variava da 3 a 7, e teneva poco conto della lunghezza del testo. Così l'unica conclusione che il ms. 338 ci permette, è che certi canti erano indubbiamente destinati ad essere cantati. L'ampia ricerca di Esser sul ms. 338 (ristampato in: Studien zu den Opuscula des hl. Franziscus von Assisi, Roma 1973, pp. 1-22) non si preoccupa dell'aspetto musicale.

    7- Così notarono già Schmucki (von Rieden) e L. Lehmann, p. 249.

    8- Secondo Lehmann, p. 100 e seg.; il testo dell'antifona in considerazione si avvicina al testo di Francesco ancor più di quanto cita Lehmann: «Maria Virgo, non est tibi similis nata in mundo in mulieribus, flores ut rosa olens sicut lilium ora pro nobis apud tuum filium». Un'antifona ad Magnificat in prosa ritmata, l'inizio del quale viene indicato nell'Antifonario di Lucca, pubblicato nella Paléographie Musicale di Solesmes, IX, p. 61, n. 1089. Che l'ufficio venisse cantato e non recitato risulta, oltre che dal ms. 338, dalla famosa ammonizione contro il «belcanto» nella Lettera a tutto l'Ordine (Esser, Opuscula, p. 262, 41).

    9- Secondo G. Boccali, Il canto di esortazione di san Francesco per le poverelle di San Damiano, in Collectanea franciscana, 48 (1978), pp. 5-29.

    10- Vedi la traduzione latina del sec. XV in AFH 14, p. 271, con la melodia Benedictus adattatavi, in appendice all'Officium ac Missa de Festa S.P.N. Francisci, ed. Eliseus Bruning ofm, (Parisiis/Tornaci/Romae 1926), pp. 129-132.

    11- Compilatio Assisiensis 99, p. 292.

    12- Lehmann, p. 284 e seguenti.

    13- Così nella Lettera ai custodi (Esser, p. 170); la 2a Lettera ai fedeli (p. 211); la preghiera dopo le «Laudes ad omnes horas» (p. 321); cap. 17 della Regula non bullata (p. 393). O. van Asseldonk parla di un «ritornello» attinto dall'Apocalisse (cit. Lehmann, p. 93).

    14- Il «Benedicamus» a, p. 101 e il «Commentario» a p. 139 dell'edizione sopra citata. Verso la fine del sec. XV, pare che si sia perduta la relazione tra questo titolo e questa melodia. Negli antifonari in Assisi da me studiati (tardo sec. XV e XVI) questa melodia «Benedicamus» non compare. A S. Maria degli Angeli ho trovato l'aggiunta «de beato Francisco» sia con la famosa melodia del V° tono, Ed. Vat. infestis solemnibus ad Laudes (foglio di guardia del ms. CII1), sia colla melodia del VI° tono, Ed. Vat. Missa XVII (Ant. 89, f. 104 verso) ect., non compaiono prima del sec. XIV. Il «tropo» non si adatta con nessuna delle due. Il più famoso antifonario di S. Maria degli Angeli, del sec. XIV (Bruning, p. 138) risulta smarrito.