Il volto di Francesco

Nel rincorrersi dei secoli, pittori e scultori si sono esercitati a rappresentare Francesco secondo quello che la loro sensibilità e immaginazione suggerivano.
Anche noi, inevitabilmente, lo raffiguriamo, ma con l'aiuto del ritratto presente nella Vita prima di Tommaso da Celano; ritratto che è la guida indispensabile per la valutazione di due affreschi ritraenti Francesco: uno contemporaneo all'assisiate, quello allo Speco di Subiaco, l'altro di Cimabue, eseguito, qualche decennio dopo la morte del santo, nella basilica Inferiore di Assisi.
Ma com'erano le sembianze di Francesco?
Quanto era alto?
Come era il suo volto?
Come era la sua voce?
Tommaso da Celano nella sua prima biografia, scritta tra il 1228 e il 1229, al capitolo 29 offre un ritratto estremamente prezioso dell'apostolo umbro.
Il Celanese entrò nell'Ordine nel 1214/14, all'età di circa 15 anni, e quindi ebbe l'opportunità di vedere Francesco.
Poté sicuramente vedere Francesco al Capitolo del 1217 (5 maggio). Lo potè rivedere al Capitolo del 1221, dove si offrì per andare missionario in Germania.
Che fosse ad Assisi al momento della morte di Francesco non è probabile; indubbiamente Tommaso da Celano fu presente ad Assisi il 16 luglio 1228, quando Gregorio IX canonizzò Francesco.
In quell'occasione ricevette dal pontefice l'incarico di redigere la biografia ufficiale del santo.
Senza dubbio si può dire che Tommaso da Celano abbia tratto dalla sua memoria le sembianze di Francesco.
Il primo biografo di Francesco offre una straordinaria descrizione del santo:
«Quanto era bello, stupendo e glorioso nella sua innocenza, nella semplicità della sua parola, nella purezza di cuore, nell’amore di Dio, nella carità fraterna, nella prontezza dell’obbedienza, nella cortesia, nel suo aspetto angelico!
Di carattere mite, di indole calmo, affabile nel parlare, cauto nell’ammonire, fedelissimo nell’adempimento dei compiti affidatigli, accorto nel consigliare, efficace nell’operare, amabile in tutto.
Di mente serena, dolce di animo, di spirito sobrio, assorto nella contemplazione, costante nell’orazione e in tutto pieno di entusiasmo.
Tenace nei propositi, saldo nella virtù, perseverante nella grazia, sempre uguale a se stesso. Veloce nel perdonare, lento all’ira, fervido d’ingegno, di buona memoria, fine nelle discussioni, prudente nelle decisioni e di grande semplicità.
Severo con sé, indulgente con gli altri, discreto in tutto.
Era uomo fecondissimo, di aspetto gioviale, di sguardo buono, mai indolente e mai altezzoso.
Di statura piuttosto piccola, testa regolare e rotonda, volto un po’ ovale e proteso, fronte piana e piccola, occhi neri, di misura normale e tutto semplicità, capelli pure oscuri, sopracciglia diritte, naso giusto, sottile e diritto, orecchie dritte ma piccole, tempie piane, lingua mite, bruciante e penetrante, voce robusta, dolce, chiara e sonora, denti uniti, uguali e bianchi, labbra piccole e sottili, barba nera e rada, collo sottile, spalle dritte, braccia corte, mani scarne, dita lunghe, unghie sporgenti, gambe snelle, piedi piccoli, pelle delicata, magro, veste ruvida, sonno brevissimo, mano generosissima.
Nella sua incomparabile umiltà si mostrava buono e comprensivo con tutti. Adattandosi in modo opportuno e saggio ai costumi di ognuno. Veramente più santo tra i santi, e tra i peccatori come uno di loro. O Padre santissimo, pietoso e amante dei peccatori, vieni dunque loro in aiuto, e per i tuoi altissimi meriti degnati, te ne preghiamo, di sollevare coloro che vedi giacere miseramente nella colpa!» (I Cel., cap. XXIX, 83).
LA STATURA DI FRANCESCO
Il Celano lo dice «di media statura, quasi piccolo».
Nella Vita Secunda (1246 - 1247), lo stesso Celano, descrivendo la visione avuta da Innocenzo III su Francesco che puntellava la basilica del Laterano, presenta il santo «piccolo e spregevole» (cap. XI, 17); «spregevole» nel senso di vestito di abito poverissimo.
Ciò lo si ritrova nella Leggenda dei tre compagni, che nella stessa visione presenta Francesco «piccolo e di aspetto meschino» (cap. XII, 51); «meschino» per il suo saio di panno rozzo e probabilmente con toppe.
Durante la ricognizione dell'urna funeraria nel 1978, si effettuò la misurazione dell'omero destro, rinvenuto intatto (cm. 27,9), e del femore destro, pure intatto (cm. 40,2).
Partendo da queste due misurazioni e usando dei parametri osteometrici, si è dedotto un'altezza pari a 1,58 m.
Un risultato di probabilità.
Questo dato può essere messo a confronto con le misurazioni del saio di Francesco conservato alla Verna, detto delle «stimmate», e di quello conservato nella basilica di Assisi.
Il «saio delle stimmate» venne valutato da Ciro Cannarozzi, nel 1924, con un'altezza di 1,25 m.: «La lunghezza di questo abito dall'apertura superiore del collo al margine inferiore dei piedi e di m. 1,25» (Storia dell'abito col quale san Francesco ricevette le Sacre Stimmate, in Studi Francescani - già La Verna -, gennaio-marzo 1924).
Questo dato è frutto probabilmente di un errore di stampa, poiché l'altezza del saio risulta in realtà maggiore di 10 cm.
Si deve tenere poi conto che il bordo inferiore è stato oggetto di tagli per ottenere reliquie, per cui si possono aggiungere 3/4 cm., nei quali era compreso l'orlo finale. Con ciò si arriva ad una altezza di 1,38/1,39 m.
L'abito indossato (a causa della stretta del cordone e della corporatura) si può stimare che avesse dalla spalla un'altezza di 1,28/1,30 m. A questa misura va aggiunta la distanza tra l'orlo e la pianta del piede, stimabile in circa 8 cm. e circa 25 cm. per il collo-testa, considerando anche le misure del cappuccio.
Il risultato è di circa 1,62 m.
Mediando questi dati si può dire che Francesco avesse un'altezza di 1,59/60 m.; leggermente inferiore alla media di allora, che si aggirava per un uomo su 1,65/66 m.
IL VOLTO DI FRANCESCO: RISPOSTA DIFFICILE
Francesco non aveva un volto regolare, bello: «tu non sei bello uomo del corpo» (I Fioretti, cap. X).
Il Celano scrive «facies utcumque oblonga et protensa», cioè non rotonda, ma «oblonga et protensa», cioè un ovale leggermente allungato.
Il volto doveva essere incavato nelle guance magre.
Circa la fronte, «plana et parva», verrebbe da dire che il Celano intenda una fronte bassa, ma ciò risulta in contrasto con la «facies utcumque oblonga». La fronte «plana e parva» va riferita alla parte frontale piana, non a tutta la fronte.
Pare di dover dire che Tommaso da Celano gestisce male i termini anatomici di fronte e di tempie.
Si può concludere che Francesco avesse una testa di tipo «sphenoides».
Che l'assisiate non avesse la fronte bassa, è confermato dall'esame delle fotografie scattate nella ricognizione del marzo 1978.
Il Celano offre così delle indicazioni preziosissime sul volto di Francesco, anche se noi avremmo voluto di più.
Il naso del santo era regolare, non grosso: «subtilis», e non adunco o all'insù, ma «rectus».
I capelli erano «fusci», cioè scuri; per la barba il Celano usa il termine «nigra». Gli occhi li presenta altamente espressivi dell'animo di Francesco, e li dice «nigri», cioè di color nero.
I capelli sono «fusci», la barba è «nigra». Probabilmente il Celano descrive capelli leggermente brizzolati, mentre la barba non lo è ancora.
Oltre alla descrizione di Tommaso da Celano, come documento sull'esteriorità di Francesco si ha un affresco presso lo Speco di Subiaco, composto in relazione al soggiorno del santo nel 1223/24. Il poverello è ritratto prima di aver ricevuto le stimmate.
L'affresco esprime la devozione di un fedele per il santo.
Gli elementi dell'affresco che collimano con i dati della descrizione del Celano, sono la faccia leggermente «protensa». Il naso «subtilis et rectus».
Le sopracciglia rettilinee: «recta».
Il volto è allungato: «protensa», ma non si riesce a vedere lo scavo delle guance che rendevano la faccia ovale: «oblonga».
Non coincide con la descrizione del Celano il colore degli occhi.
Il Celano parla di occhi «nigri», l'affresco dello Speco di Subiaco li presenta castani.
Il Celano presenta i capelli e la barba scuri, neri, mentre l'affresco in oggetto li presenta castani.
La statura posta dall'affresco di Subiaco è del tutto eccessiva, e si spiega in quanto funzionale all'impianto che riporta ai piedi del santo, in piccolo, il devoto committente.
L'incompatibilità tra l'affresco e il ritratto del Celano, sta solo nel colore della barba e dei capelli. Infatti il colore nero degli occhi è sempre in realtà un marrone molto scuro, che con l'età diventa più chiaro.
Dovremmo scegliere per il colore dei capelli e della barba la descrizione del Celano, se non che c'è un altro affresco che ritrae Francesco, quello di Cimabue (Cenni di Pepo: 1240-1302), nella basilica Inferiore di Assisi.
Cimabue dipinse l'affresco nel 1278/80, 64 anni dopo la morte del santo, sotto il pontificato di Niccolò V, già francescano.
L'affresco di Cimabue non dipende dalla descrizione del Celano, ma dalla trasmissione orale, in quanto il Capitolo generale dei frati Minori, svoltosi a Parigi nel 1266, ordinò che fossero distrutte tutte le biografie su s. Francesco antecedenti alla Legenda Maior, compilata nel 1263 da s. Bonaventura da Bagnoregio, e che diventò quella ufficiale dell'Ordine.
Inoltre, solo la Vita Prima del Celano presenta la descrizione delle sembianze dell'assisiate.
Questa Vita Prima non venne accettata dall'Ordine nel Capitolo di Genova del 1244, perché troppo circoscritta ai «signa et prodigia», per cui il Celano ne redasse una seconda, intesa ad integrare la prima (1248/50), più attenta ai fatti e alle parole dette da Francesco.
In questa Vita Seconda, il Celano non presentò il ritratto del santo.
Anche questa seconda biografia fu, successivamente, soggetta all'ordine di distruzione.
L'affresco di Cimabue raccoglie così la tradizione orale presente ad Assisi.
Il pittore non ci presenta il volto di Francesco dai tratti regolari, e ciò corrisponde al fatto che il santo non fosse di bell'aspetto, ma va sempre tenuto presente che in quel volto traluceva la bellezza spirituale della sua anima.
L'affresco non è incompatibile con la descrizione del Celano, ma per gli occhi si ha chiaramente il castano molto scuro e per i capelli e la barba si ha il castano scuro.
Volendo dare una spiegazione di quest'ultima divergenza, si può dire che il Celano volle sottolineare come i capelli di Francesco fossero leggermente brizzolati, «fusci», a differenza della barba nera.
Da tutto ciò il ritratto di Cimabue è più aderente alla descrizione del Celano di quello dello Speco di Subiaco.
LE TONACHE DI FRANCESCO
Le tonache conservate nel santuario della Verna (foto a sinistra) e nel museo della basilica Inferiore di Assisi (foto a destra), informano come era il saio di Francesco.
Entrambe le vesti presentano un taglio sartoriale molto diverso da quello attuale dei frati Minori, dato che bisognava utilizzare una pezzatura alta circa 60 cm. ottenuta al telaio, con lunghezza tuttavia di vari metri.
Bisognava, quindi, utilizzare la pezzatura di 60 cm., componendo tra di loro i vari pezzi tagliati in modo che risultasse la forma a campana.
C'erano dunque due teli centrali (anteriore e posteriore) e degli inserti laterali.
A ciò andavano aggiunti i tagli delle maniche e del cappuccio.
Il filato del «saio della Verna» (o delle «Stimmate») è di lana attorcigliata con fili di colore marrone bruciato e di fili biancastri, dando cosi il colore bigello, cioè grigio.
Il tessuto risulta fatto con un telaio a mano, molto semplice se non addirittura primitivo.
Il cappuccio, allo stato attuale, non risulta raccordabile con il saio, a causa dei tagli per reliquie, ma sicuramente doveva avere una parte più abbondante di raccordo con il giro del collo.
Il «saio della Verna» non ha rattoppi, ma ha segni di uso a livello della corda di cintura, che ha usurato il tessuto.
L'altezza a livello del punto alto del collo è di 1,35 m., ma tale misura è priva di una parte sottratta dai tagli per reliquie.
La circonferenza alla base è di circa 2,36 m., ma si deve ritenere leggermente maggiore per i tagli del bordo inferiore del saio.
Il «saio di Assisi» ha lo stesso impianto di quello della Verna, ma è caratterizzato dalla presenza di molte toppe, alcune delle quali dello stesso tessuto del mantello di s. Chiara.
Questo particolare porta a pensare che l'abito venne confezionato o riparato dalle suore.
Il tessuto è composto di fili di lana marrone scuro e beige e da fili biancastri.
Il risultato è il colore bigello.
L'altezza è di 1,35 m., ma mutilata dai tagli per le reliquie. La circonferenza alla base è di circa 2,00 m
I SEGNI DELLE STIMMATE
Il Celano nella sua Vita Prima informa: «Ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso. Le sue mani e i suoi piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta.
Quei segni erano rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati all'esterno, e formavano quasi una escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta.
Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutande» (I Cel., III, 94).
Bonaventura da Bagnoregio nella Legenda Maior scrive: «Scomparendo, la visione gli lasciò nel cuore un ardore mirabile e segni altrettanto meravigliosi lasciò impressi nella sua carne. Subito, infatti, nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire segni di chiodi, come quelli che poco prima aveva osservato nell'immagine dell'uomo crocifisso. Le mani e i piedi, proprio al centro, si vedevano confitte ai chiodi (...). Il fianco destro era come trapassato da una lancia e coperto da una cicatrice rossa, che spesso emanava sacro sangue, imbevendo la tonaca e le mutante» (Leg. M., XIII, 3).
La ferita al costato conduce a dare risposta positiva a questa domanda; detta ferita appare certamente come un colpo di lancia, una ferita che a volte sanguinava.
Il Celano e Bonaventura parlano di cicatrice, ma non si tratta di cicatrice nel senso di segno di ferita cicatrizzata, poiché cicatrice ed emissione di sangue sono realtà incompatibili.
Con ciò anche le mani e i piedi dovettero essere in primis trafitti da raggi di fuoco; poi seguì la formazione dei chiodi.
Quel «cominciarono a comparire» del Celano e quel «incominciarono ad apparire» di Bonaventura, indica non un'azione repentina segnata dal dolore, come ci si aspetterebbe, ma la formazione permanente dei chiodi come segno dell'incontro di Francesco con il Crocifisso.
I due autori, come pure la Leggenda dei tre compagni e I Fioretti, non parlano di dolore provato da Francesco; ma il dolore è essenziale nella partecipazione alla Passione di Cristo mediante la stimmatizzazione, per cui dobbiamo aggiungere questo tassello mancante e importante alla stimmatizzazione del santo assisiate.
Questo tassello è testimoniato dall'affresco di Giotto sulla stimmatizzazione di Francesco nella basilica Superiore di Assisi (1290 - 1295) (foto a sinistra) e da quello di Pietro Lorenzetti nella basilica Inferiore (1310 - 1320) (foto a destra).