Tommaso da Celano

 

testo alternativo

Tommaso nacque a Celano della Marsica (Aquila) intorno al 1200; morì nel 1260 ca.
Tardive illazioni dalla confusione creata, intorno al 1385, da Bartolomeo da Pisa nel De Conformitate, tra «custodia» e «provincia» Pennese, indussero in errore alcuni storiografi dell’Ordine francescano; ad altri suggerirono la distorta conclusione a favore di Cellino Attanasio nel Teramano o, per una genealogia costruita dopo il 1590, l’indicazione che fosse figlio di un Vallesio Castiglione e nato o fattosi frate in Castiglione della Valle.

Non è dimostrabile la congettura che sia uscito dal ceppo dei Signori di Celano e d’Albe, sostituiti dal 1212 al 1222 dai fratelli di Innocenzo III, Riccardo Conte di Sora e Tommaso.

Una notizia autobiografica avverte che fu ricevuto nell’Ordine dallo stesso Francesco, reduce dalla Spagna alla Porziuncola, e perciò intorno al 1214-1215, tra «quidam litterati viri et quidam nobiles» (Vita I S. Francisci, n.57), essendo, forse, già sacerdote o almeno "clericus".

Si sa dalla Cronaca di Giordano da Giano che nel Capitolo del 1221 si offrì volontario per la difficile missione in Germania, guidata dal ministro provinciale Cesario da Spira, e che là fu nel 1222 Custode dei conventi di Magonza, Worms e Colonia e l’anno dopo vicario di Cesario disceso in Italia.

E’ assai verosimile che fosse presente al transito del serafico padre (3 ottobre 1226) ed alla canonizzazione (16 luglio 1228); di sicuro nel 1230, in Assisi, donò a frate Giordano alcune piccole reliquie del santo.

Sembra di poterlo identificare con «uno dei compagni» dissuaso in visione da s. Francesco dal darsi alla predicazione (Vita II, n. 195); pare inoltre che abbia concorso alla fondazione dei conventi di Celano (1256) e di Tagliacozzo (1223 o 1259) ed alla erezione o passaggio alla «Regola clariana» del monastero di S. Maria in S. Giovanni Val dei Varri (1230-1250 ca.). Ivi nell’ufficio di cappellano delle Clarisse chiuse i suoi giorni nel silenzio.

Tommaso, presentato da frate Elia o direttamente noto per parentela o clientela alla famiglia dei Conti di Anagni e Segni, ebbe dal card. Ugolino, divenuto papa Gregorio IX (19 marzo 1227), l’incarico di scrivere la Legenda ufficiale per la canonizzazione di s. Francesco, che egli presentò al pontefice in elegante codice il 25 febb. 1229, onde fu detta Legenda Gregorii, o Vita prima.

Sotto il generalato di frate Crescenzio da Jesi (1244 - luglio 1247) scrisse, su materiale dei «Tre Soci», la Vita seconda, da lui intitolata «Memoriale in desiderio animae de gestis et verbis sanctissimi Patris nostri», e la completò, dopo reiterati inviti del ministro generale Giovanni da Parma (1247- 1257), con il Tractatus de miraculis (1250- 1252).

Da questa trilogia dipendono:
a) del medesimo autore, la Legenda ad usum chori (1230);
b) di Giuliano da Spira, la Legenda s. Francisci e l’Officium rythmicum (1230-1235), poiché non è dimostrata la tesi proposta dal padre Z. Lazzeri, di un inverso rapporto tra i due scrittori.
Per molti tratti anche ad litteram ne è tributaria la Legenda maior di s. Bonaventura (1263), dopo la quale un’ordinanza del Capitolo di Parigi del 1266 proscrisse le biografie precedenti.

Scarsi suffragi ha raccolto dalla critica moderna l’attribuzione a Bonaventura della Legenda S. Clarae Virginis, che motivi esterni ed intrinseci persuadono a mantenere a Tommaso, del cui nucleo ai nn. 18-20 della Vita prima di s. Francesco può considerarsi il promesso sviluppo.
Meno attendibile è l’assegnazione al celanese della Biografia Antoniana Assidua.

Delle operette ritmiche gli è riconosciuta la paternità della sequenza Sanctitatis nova signa, inneggiante il mistero delle stimmate, che tanto risalto ha nelle sue opere in prosa.
Intorno al Dies Irae si è riaccesa la discussione nelle celebrazioni centenarie del 1960.

Dopo qualche vivace attacco, a cavallo dei secc. XIX e XX, alla sincerità del primo biografo di s. Francesco, la fama di Tommaso si è consolidata, ed ormai si conviene che non si può più prescindere dai suoi scritti per trattare il Santo assisiate.
Le due Vitae, integrandosi l’un l’altra, rispecchiano non un servile adattamento a direttive di committenti, ma la sensibilità dell’autore ai segni dei tempi mai scevra, tuttavia, di rimpianto per la robusta impostazione evangelica data dall’uomo nuovo Francesco (così egli lo chiamò) alla sua prima compagnia.

Letterato di vaglia, seppe dare veste elegante alla sua esposizione, non trascurando neppure qualche dato cronologico e riferimenti alla legislazione serafica ed agli scritti del santo, ma senza pedanteria.
Autentico religioso, seppe cogliere i valori ascetici e mistici del suo eroe, l’inquadramento nella dogmatica, e lo presentò, assai prima del Pisano, come imitatore di Cristo e come specchio nel quale i seguaci dovevano mirarsi, per ricalcare le vestigia del Maestro divino e del loro patriarca (cf. Vita I, n. 90 e Vita II, n. 26).

Con intuito di artista, ma anche di esperto nella ricerca della santità, fissò gli elementi preponderanti nel suo modello: adorazione al sommo bene Dio uno e trino; cristocentrismo considerato specialmente riguardo all’Incarnazione, alla Passione, al finalismo glorificatore; culto eucaristico; devozione mariana; servizio ecclesiale nel rispetto della gerarchia, e, percorrendo la scuola bonaventuriana, riconobbe e additò per primo l’iter del semplice, povero, serafico Francesco verso la Sapienza, ossia, attraverso le creature fraternamente amate: l’orazione ed i rapimenti, fino al riposo della mistica teologia, anche se, vivendo e scrivendo nella prima metà del sec. XIII, non poteva usare la metodologia invalsa posteriormente, e nella quale non avrebbe potuto costringere l’originalità del lirico araldo del Gran Re.
Come Francesco, Tommaso sapeva che la contemplazione infusa è un dono, e l’attività dello spirito nell’esercizio delle virtù cardinali e teologali è un dovere. Inclinava perciò ad una certa austerità di vedute, ma con tocchi sicuri delineò le particolari amabili virtù francescane come la semplicità, la serenità nella povertà e nella sofferenza, l’umiltà dei “minori” insieme con la cavalleresca liberalità e cortesia, ed alimentò di forte luce il senso del divino e le attrattive della carità.

Vivente, Tommaso ebbe la stima dei confratelli e della curia non solo per meriti letterari: basterebbe pensare allo spontaneo servizio missionario, che allora veniva considerato come il più alto grado dell’obbedienza religiosa (cf. Regula I, cap. 16 e Regula II, cap. 12; Vita II, n.152).

Frate Angelo Clareno, tra il 1322 e il 1325, apriva la sua Historia septem tribulationum così: «Quattro persone rispettabilissime hanno scritto la vita del povero ed umile uomo di Dio Francesco, uomini cioè illustri per scienza e santità: Giovanni e Tommaso da Celano, frate Bonaventura, ottavo ministro generale dopo il beato Francesco, e frate Leone, uomo di meravigliosa semplicità e santità, compagno dello stesso san Francesco».
Più tardi frate Mariano da Firenze lo ricordava «il santo discepolo di s. Francesco» e «beato» lo diceva il Tossignano (1586).
Tra gli scrittori esterni all’Ordine minoritico, Muzio Febonio di Avezzano, abate di Trasacco, scriveva la Vita del B. Tommaso di seguito alla Vita di S. Berardo cardinale, seguìto dal Corsignani celanese, che lo annoverava in apertura alla serie dei santi della Marsica.
Nel Martirologio francescano è ricordato al giorno 4 ottobre.

Autori abruzzesi hanno scritto che, correndo voce di prodigi manifestati presso il sepolcro del b. Tommaso in Val dei Varri, come splendori nella notte, il popolo si recava a venerarlo.

Ai primi del Cinquecento, abbandonato il monastero delle Clarisse ed incorporati i beni al convento dei frati di Tagliacozzo, i cittadini di Scansano si disponevano a portare i resti venerati nel loro comune, ma furono prevenuti da quei frati, che li trafugarono. Lo asserisce il «Monitorium» con il quale Giovanni Luchino Arnuzzi, giudice delegato da Leone X, a richiesta del vescovo dei Marsi, Giacomo, il 17 marzo 1517, citava a comparire frate Domenico ed altri del convento di S. Francesco di Tagliacozzo, per avere di notte trasportato dalla chiesa in Val dei Varri al loro convento «quoddam sanctum corpus, ut asseritur Beati Thomasii», per assicurarsi il concorso di popolo.
Questo documento, rinvenuto da Giovanni Odorardi nel 1968, e letto unitamente all’elenco di prodigi avvenuti al tempo della traslazione, autentica la fama del culto popolare, che si rinnova ogni anno in Tagliacozzo il giorno dell’Indulgenza della Porziuncola (2 agosto) ed in Celano la seconda domenica di ottobre.

A Tagliacozzo la spoglia di Tommaso fu collocata dapprima in un sarcofago di pietra nella chiesa di S. Francesco, dietro l’altare, nella cappella ducale; dopo la ricognizione ordinata dal vescovo dei Marsi, Domenico Antonio Brizi (1741-1760), le ossa vennero raccolte in urna di legno, dal cui vetro anteriore era visibile il teschio, coperto di cappuccio bigio, e dichiarate del b. Tommaso, come, in teche minori, alcuni oggetti.

Nel 1960, coincidendo i restauri della gotica chiesa con le celebrazioni centenarie della morte di Tommaso, il vescovo Domenico Valeri provvide a nuova ricognizione per uno studio scientifico dei resti, e finalmente lo scheletro di alta statura, ricomposto sotto un nuovo saio francescano, fu chiuso in un’urna di bronzo e cristalli, e collocato provvisoriamente su una mensa laterale.
Lo stesso vescovo, il 24 maggio 1968 ha istituito una commissione di studio che indaghi sul culto locale «ab immemorabili».
Tra le testimonianze di ammirazione va ricordata la Lettera di Giovanni XXIII al vescovo dei Marsi, in data 29 agosto 1960, nella quale il pontefice, Terziario francescano, ricordava di avere «avuto un tocco di speciale richiamo al pio e dotto Minorita» già nell’allocuzione del precedente anno nell’arcibasilica lateranense, e concludeva: «Amiamo ora accompagnare le annunziate celebrazioni, che di lui onorano la memoria e ripropongono a meditazione le veneranda figura e gli scritti insigni, con la speranza e l’augurio che, per mezzo di esse, codeste care popolazioni (…) sappiano altresì attingere (…) un rinnovato impegno nell’esercizio di quelle esimie virtù "paupertas, oboedientia, caritas", delle quali la vita di fra’ Tommaso da Celano offre luminoso esempio».