Egidio di Assisi

 

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Quando Francesco vide che Bernardo di Quintavalle e Pietro Cattani lo seguivano, non avendo altro bagaglio che il santo e gioioso ideale che condividevano, dette ai due compagni un vestito come il suo, alla maniera dei contadini del posto, e scesero a vivere nel bosco della pianura di Assisi, accanto alla Porziuncola «a mezza lega, circa, dalla cittadina», una cappellina che Francesco, da bravo muratore di Dio, aveva riparato.
Egli e i suoi compagni non facevano altro che pregare e conversare sulle realtà divine, nutrendosi di ciò che ricevevano in elemosina.

Viveva nella città (o nel contado) di Assisi un giovane semplice, pio e gioviale, di nome Egidio.
Nei giorni in cui il figlio di Pietro Bernardone operò la grande svolta della sua vita, a Egidio cominciò a ruotargli per la testa, fino a diventare una vera ossessione, la seguente idea: «Come potrei io piacere in tutto al Creatore d'ogni cosa?».

Presto egli sentì commentare da un suo conoscente la prodezza cittadina del nobile Bernardo da Quintavalle e del savio canonico Pietro Cattani, che si erano uniti a Francesco, rinunciando a tutto.
Erano trascorsi pochi giorni da quei fatti.

Il racconto di quella storia fu come una luce di fuoco inviata da Dio a rischiarare la sua mente.
Il giorno seguente, alzatosi prima del sorger del sole, Egidio si diresse alla chiesa di S. Giorgio, e là, assorto, pregò intensamente.
Prese quindi una decisione: seguire Francesco!
Gli corse incontro, giù nella piana della Porziuncola, e, trovatolo, s'inginocchiò ai suoi piedi.
E come saluto, lo supplicò di accettarlo nella sua compagnia.
Francesco, presolo per mano, lo fece alzare e proseguì il cammino lungo il sentiero, conversando con lui sulla bellezza della sua vocazione e incoraggiandolo alla fedeltà.
Chiamò quindi a gran voce frate Bernardo, e presentandogli Egidio gli disse: «Guarda, il Signore ci ha inviato un buon frate».

I tre, entrati nella capanna di frasche, si unirono a Pietro, e tutti insieme mangiarono di quel che avevano, uno più contento dell'altro.

Era il 23 aprile del 1208; Egidio aveva intorno a diciotto anni.

Francesco iniziò subito ad amare questo suo terzo compagno con profondo affetto, tanto che, di lui, era solito: «Ecco il mio cavaliere della Tavola rotonda».

Egidio per alcuni giorni continuò a indossare l'abito che aveva quand'era venuto.
Francesco salì poi con lui in città, alla ricerca di un po' di stoffa, perché potesse vestirsi come loro. Mentre salivano, incontrarono una poveretta che chiese loro l'elemosina. Francesco, guardando Egidio, gli disse con un sorriso: «Carissimo, regaliamole il tuo mantello per amore del Signore Iddio». Felicissimo, Egidio se lo tolse prontamente e glielo diede.
Poco più tardi, cinto come gli altri dell'umile saio, venne incorporato nell'Ordine.

Erano ormai in quattro; Francesco pensò, allora, di poter imitare i discepoli del Signore, andando per il mondo a due a due.
Inviò a Bologna i frati Bernardo e Pietro; egli, in compagnia di frate Egidio, partì per la Marca di Ancona.
Procedendo felici per la via, Francesco disse un giorno a frate Egidio: «Il nostro Ordine è come un pescatore: getta le sue reti in mare, le reti prendono un'enorme quantità di pesci, ed egli seleziona quelli grandi e butta di nuovo in acqua quelli piccoli».
L'ingenuo frate, sorpreso, spalancò gli occhi: ma se erano appena in quattro! Nella sua ingenuità intuì con fede spontanea che Francesco, oltre ad essere simpatico e buon cantore, fosse anche profeta. Se ne rallegrò, sognando che sarebbero arrivati ad essere in molti.

In quella prima escursione apostolica attraverso i villaggi, Francesco non teneva propriamente delle prediche: si avvicinava a quanti incontrava, parlando familiarmente loro e incitandoli ad amare e adorare Dio, e a far penitenza dei propri peccati. Ed Egidio, che non sapeva dire nemmeno questo, quando il santo concludeva la sua esortazione, diceva alla gente: «Molto ben detto. Fidatevi di lui!».
Attraverso quei borghi e villaggi, Francesco ed Egidio sperimentarono di tutto: alcuni li ricevevano con sorpresa o diffidenza, altri come uomini di Dio, altri ancora si prendevano beffe di loro, colmandoli di improperi.
Quando era quest'ultima la sorte che li aspettava, frate Egidio ne godeva più che degli apprezzamenti e degli elogi, dicendo di non desiderare altra gloria che soffrire per Cristo.
Francesco, dal canto suo, nel vedere un discepolo ancora novizio e già così progredito, era fiero del suo compagno.

Questa esperienza lasciò a Egidio la passione del camminatore instancabile. Sappiamo che andò varie volte a Roma, visitò il santuario di S. Nicola nella città di Bari, quello di S. Michele del Monte Gargano, anche quello di Santiago di Compostella; si recò in Terra Santa e in molti altri luoghi, sempre vivendo alla perfezione gli insegnamenti del santo assisiate.

Più tardi - il poverello aveva ormai lasciato questa terra ed era stato elevato agli onori degli altari - un tale domandò a Egidio: «Cosa pensi tu di s. Francesco?». Egli rispose prontamente: «Nessuno dovrebbe pronunciare il suo nome senza leccarsi le labbra per la dolcezza».

Il Celano sottolinea magnificamente quanto Egidio fosse «esempio di lavoro manuale». Egli costruiva casse per custodirvi bicchieri o prodotti essiccati. Maneggiava con particolare abilità giunchi, vimini e canne, con cui intrecciava delle ceste per la raccolta dei prodotti dei campi, o rivestimenti per vasi di cristallo o di terracotta; fabbricava pure tali recipienti di terracotta. Vendeva poi la sua mercanzia in cambio del cibo per sé e per i suoi frati. Si dava anche al lavoro di taglialegna, caricando sulle proprie spalle il fastello più grande che poteva, per poi venderlo per le strade, in cambio del solo pane quotidiano.

Un giorno, tornando dal bosco col suo carico di fascine, gli si accostò una donna decisa a comprargli tutto quello che aveva. Egidio giunse ad un accordo: tanto di legna, tanto da mangiare. Accertatasi che si trattava di un religioso, la donna volle dargli più del pattuito, ma il frate rifiutò con la sua allegra ironia: «Non voglio che mi vinca l'avarizia». E non solo non accettò di più, ma prese solo la metà di quanto stabilito, con grande ammirazione della stessa donna.

Egidio non rifiutava nessun lavoro, purché potesse assolverlo con onestà; le quattro stagioni dell'anno gli fornivano un'occupazione loro corrispondente.
Nel periodo della vendemmia non aveva difficoltà a recarsi con i braccianti nelle vigne a cogliere uva, caricarla, pigiarla con i propri piedi nel tino. Non esitava neppure a raccogliere noci; a mietere il grano, chiedendo, in cambio, solo quanto bastava per cibarsi, e spesso lo offriva ai poveri!
Nei periodi in cui la campagna non offriva lavoro, Egidio si industriava egualmente per non stare con le mani in mano. Si recava nei monasteri, e, in cambio di alcuni pani, si poneva al servizio dei monaci per setacciare la farina o per provvedere all'acqua; giunse persino a ricoprire il ruolo di seppellitore di morti!

Recita la Regola: «lavorino (...) così che (...) non spengano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono tutte le altre cose temporali».
Frate Egidio interpretò alla lettera quanto espresso da Francesco d'Assisi: accanto al lavoro, pose sempre la preghiera. Quella prontezza, precisione e gioia con cui lavorava, gli venivano dalla gioia, precisione e prontezza con cui si dedicava al lavoro con Dio, nella preghiera.
Rare volte contrattava un lavoro per l'intera giornata, e ciò allo scopo di avere tutto il tempo necessario per la preghiera; se qualche volta accettava di lavorare per la giornata intera, non tralasciava mai di prendersi il suo tempo per la recita ordinata delle ore canoniche. E le domeniche e i giorni festivi «andava in chiesa molto presto per rimanervi tutto il giorno, occupato in pensieri divini».

Si tramanda che Egidio: «era sempre di buon umore e disposto a tutto. Quando poi dialogava sul Signore, era fuori di sé dalla gioia e rispondeva con la più grande devozione. Tra le altre dimostrazioni di questa sua meravigliosa devozione, baciava tutto esultante i fusti delle piante e le pietre. Tali espressioni della sua vita ci ricordano che per Francesco "la letizia che traspare all'esterno consiste nella prontezza a operare il bene", e che lo stesso Poverello baciava le pietre e gli alberi perché gli ricordavano in particolar modo il suo Amore, Gesù Cristo. Frate Egidio aveva imparato anche questo dalla letizia del suo maestro. Era come se egli avesse la gioia nel sangue: Dio ha creato l'uomo comunicandogli la sua bontà, la sua grazia e il suo amore. L'uomo deve dunque mostrarsi, per natura, affabile e benigno».

E poiché era così allegro di carattere, gli piaceva cantare e suonare la viella (o viola), una piccola chitarra fatta con canna di miglio, accompagnandosi con essa quando si sentiva ispirato a dire qualcosa di bello alle sue virtù più amate, o quando ribatteva a ragionamenti capziosi con argomenti veri.

E' universalmente conosciuta la cosiddetta Preghiera semplice di s. Francesco («Dove c'è odio, io porti l'amore, etc.»), che, in realtà non gli appartiene, anche se ne riprende perfettamente lo spirito. E' invece di Egidio questo che può essere considerato un precedente letterario di quella fortunata preghiera: «Beato chi ama e non desidera essere amato; beato chi rispetta e non desidera essere rispettato; beato chi serve e non desidera essere servito; beato chi si comporta bene con gli altri e non desidera che gli altri si comportino bene con lui».

Quando sentiva parlare dei sacramenti e dei canoni della Chiesa, Egidio li raccomandava con gioia e fervore grande, ed esclamava: «Oh chiesa romana, nostra santa madre! Noi, poveri e ignoranti, non ti conosciamo, né te né la tua bontà. Tu ci istruisci sul cammino della salvezza, ce lo prepari, ce lo indichi. Chi lo segue non avrà mai a inciampare, ma salirà a poco a poco verso la gloria».

E poiché era un carattere così francescanamente lieto, era anche francescanamente semplice: fu santamente lieto perché santamente semplice, di una semplicità che ci ricorda a volte quella incomparabile di frate Ginepro.
Francesco lo stimava tanto e aveva tale fiducia in lui da lasciarlo libero di risiedere dove volesse; ma egli non volle usare di questa libertà.
«Cosa vuoi che faccia e dove vuoi che vada?», domandò un giorno frate Egidio a frate Francesco. E questi gli rispose: «Per te c'è sempre un luogo pronto dove andare: Vai dove vuoi».
E frate Egidio partì liberamente per quelle destinazioni che sono tutte di Dio.
Ma presto sentì quella libertà come qualcosa di angustiante. In capo a pochi giorni tornò da Francesco: «Mandami dove vuoi, ma dimmi dove, perché in quest'obbedienza così libera non trova pace la mia coscienza».
Francesco allora lo inviò all'eremo di Fabriano. E da quel momento lo inviava, per obbedienza, in un posto o nell'altro.

L'essere così semplice non tolse ad Egidio prestigio e autorità. La ebbe infatti, e grande, in tutto l'Ordine.
I Tre Compagni e lo stesso s. Bonaventura contarono su di lui, per scrivere le rispettive Vite di s. Francesco. Essi, inoltre, lo chiamavano abitualmente «padre», appellativo non usato per gli altri compagni del poverello, e senza che egli fosse sacerdote, mentre altri lo erano. A sua volta, egli chiamava spesso «figli» i suoi fratelli spirituali.

Accorrevano in molti a chiedergli consiglio: frati, chierici dell'alta gerarchia e di rango più modesto, e ogni classe di laici; con semplicità e con soddisfazione si rivolgevano a lui per strappargli alcuni dei suoi fervorosi, incisivi e azzeccati proverbi.
Senza che egli fosse polemico per temperamento, i più fedeli allo spirito primitivo lo scelsero come appoggio e modello nella lotta per il francescanesimo autentico, inoltre, «i suoi consigli cambiarono cuore e mente di molti che erano tentati di abbandonare l'Ordine».
Tutto ciò che veniva da lui era bene accetto, perché lo diceva senza malizia e con amore, veniva quindi accolto come un regalo dell'uomo buono che egli era.

Frate Egidio, come sopra riferito, fu instancabile camminatore. Ma questo durò finché il Signore lo volle fermo davanti a Lui, per condurlo per le sue vie più eccelse, benché sia anche vero che perfino in questa nuova fase della sua vita assorta in Dio se ne andava di eremo in eremo.
Dedito dapprima al lavoro delle mani, si andò sempre più appassionando a quello della preghiera, al punto di finire per dedicare tutto il suo tempo alla contemplazione, che per lui non fu più un lavoro, ma il suo riposo divino.
Egli conobbe realmente le tre tappe progressive della più alta santità: la via purificatrice o di conversione, la via illuminativa o di contemplazione, e la via unitiva o di fusione con Dio nell'estasi.
Si possono persino segnare queste pietre miliari con alcune date concrete; il suo biografo annota che, «a sei anni dalla sua conversione» - nel 1215 -, si verificò in lui quel cambiamento radicale dalla preghiera alla contemplazione; e nel 1226 il Signore gli fece la grazia di una straordinaria estasi, la cui atmosfera spirituale lo accompagnerà sino alla morte.
Lo stesso Celano, senza volerlo, attesta una simile progressione: «Frate Egidio, uomo semplice, retto e timorato di Dio, in tutta la sua lunga vita praticò la santità, la giustizia, la pietà, lasciandoci esempi di obbedienza perfetta, lavoro manuale, amore al raccoglimento e alla contemplazione religiosa».
S. Bonaventura lo presenta in modo analogo, in termini mistici elevati. Il suo biografo lo esprime più al vivo: «Dopo che frate Egidio giunse a essere un uomo perfettissimo attraverso i lavori della sua vita attiva e alcune afflizioni dello spirito, il Signore lo condusse alla quiete e alla consolazione della vita contemplativa».

Nel ritratto-modello, singolare e plurale, del frate minore, Francesco d'Assisi attribuisce a frate Egidio «la mente elevata nella contemplazione fino alla più alta perfezione».
E' pure molto espressivo il titolo della sua Vita, con una qualifica più superlativa di quella delle altre Vite: «Vita di frate Egidio, uomo santissimo e contemplativo».

Il beato frate, vivendo immerso nelle realtà divine, era solito dire: «La purezza di cuore vede Dio, la devozione si nutre di lui»; «Chi più ama, più desidera»; «Contemplare è separarsi da tutto il resto per unirsi a Dio solo».
E il suo biografo testimonia: «Mangiava una sola volta al giorno, e pochissimo»; «Desiderava poter vivere nutrendosi unicamente di foglie d'albero, per evitare di aver a che dire e che fare con gli uomini, e impiegare in tali cose il minor tempo possibile. Ma quando tornava nel gruppo dei frati, si presentava premuroso e lieto, lodando Dio; e diceva loro, mescolando alcune parole di S. Bernardo con altre di S. Paolo: "Non si può dire con la lingua, ne spiegare in senso letterale, ne può entrare nel cuore dell'uomo quello che il buon Dio ha preparato per coloro che lo vogliono amare"».

Abbiamo già accennato alle estasi che investirono frate Egidio: la prima avvenne nel 1215, a sei anni dalla sua conversione francescana. Fu nell'eremo di Favarone, nella pianura di Perugia. Egli stava pregando con fervore, quando si sentì simile ad una boccetta colma del balsamo dolcissimo dell'amore del Signore: «era come se Questi gli facesse uscire l'anima dal corpo perché potesse vedere con piena lucidità le recondite bellezze della Divinità. E a mano a mano che l'anima saliva, cominciò ad avvertire che il suo corpo andava morendo, distaccandosi, a cominciare dai piedi fino alla parte più alta. E trovandosi l'anima fuori dal corpo - così gli sembrava -, lo Spirito Santo lo illuminò, perché la vedesse e gioisse di vederla quale Egli l'aveva trasformata con la sua grazia: preziosissima, splendente, divinamente bella. Neppure vicino alla morte, acconsentì di rivelarne ulteriori dettagli».

Ma la sua grande estasi avvenne nove anni dopo, a pochi mesi dalla morte di s. Francesco, intorno al Natale del 1226, presso l'eremo di Cetona, nei dintorni di Perugia.
Vi si era ritirato col suo compagno di maggior fiducia, che aveva egli stesso educato sin dalla sua gioventù; si era là rinchiuso, per prepararsi, nel digiuno e nella preghiera, al Natale del Signore.
Gli ultimi giorni li trascorse vegliando giorno e notte in devotissima e ardente preghiera. E gli apparve il Signore Gesù Cristo: lo vide con gli occhi della sua carne! In quel momento si sentì inebriato di tale profumo nell'anima e di tale dolcezza nel cuore, che gli pareva di agonizzare di gioia, e che da un momento all'altro sarebbe anche potuto morire, incapace di sopportare tanta delizia. E si mise a gridare con voce incontenibile, una voce che fece tremare il cuore dei frati che l'udirono. Uno di essi corse a cercare il compagno amico e l'obbligò ad accorrere: «Vieni, vola, che frate Egidio sta morendo!». L'amico corse da lui come un fulmine, e gli disse: «Cosa ti succede, padre?». «Vieni, figlio, vieni, che desideravo vederti». E lo mise ansiosamente al corrente di quanto gli era accaduto.
Questa estasi, con le sue intermittenze, durò da tre giorni prima di Natale fino all'Epifania: due lunghe settimane di Paradiso!
A lui sembrava qualcosa di eccessivo, perfino insopportabile, e supplicava il Signore di liberarlo, perché egli - peccatore, rozzo, semplice, incolto - non era da tanto; ma quanto più se ne confessava indegno, tanto più il Signore riversava su di lui il dono dolcissimo della sua grazia.

A partire da quella apparizione, frate Egidio era solito cadere in estasi per un nonnulla. Cercava quindi insistentemente la solitudine; quasi non usciva di cella.
Ma non poteva nascondere tanta grazia del Signore.
Come gli si parlava di Dio, o della gloria e felicità del Paradiso, veniva immediatamente rapito in estasi, rimanendo per lungo tempo estraneo a tutto ciò che lo circondava. Succedeva perfino che i pastori e i bambini, sapendo di tale fenomeno, si divertissero gridando verso di lui, appena lo vedevano: «Paradiso, paradiso!». Al che frate Egidio andava letteralmente in estasi. Al contrario, i frati che desideravano comunicare con lui, evitavano la parola Paradiso, per non perdere la sua conversazione, a causa del rapimento estatico.

Egidio cominciò a fare vita ritirata evitando gli uni e gli altri, e giustificandosi con i suoi proverbi: «Chi meglio tratta l'affare della propria anima, provvede pure meglio al bene degli altri»; «Per una piccola disattenzione si può perdere una grande grazia, e in modo irrimediabile, come quelli che giocano a dadi e che, per un solo punto, possono perdere tutto quello che hanno guadagnato prima».

Il nostro uomo arrivò così a pendere dal cielo più che calcare la terra, quella terra che egli aveva prima tanto lavorata e tanto pestata col suo camminare. Diceva a se stesso, con accento di umile confusione: «Finora andavo dove mi piaceva e facevo quel che volevo, lavorando con le mie mani. Adesso invece, e da qui in avanti, non posso darmi al lavoro com'ero solito fare; eppure sento dentro di me che mi conviene fare così. E questo mi riempie di timore, nel pensare che mi possano chiedere qualcosa che non sono capace di dare».
Fu un compagno a liberarlo da quest'ansietà: «Sta bene che tu diffidi sempre di te stesso, pensando però sempre con fiducia: Colui che offre a qualcuno una grazia, gli da' anche come saperla conservare».
Quel compagno aveva detto una cosa giusta: le paure di un proverbio vengono eliminate con un altro proverbio; gli tolse così la spina dell'inquietudine, riportandolo alla pienezza della pace.

Egidio era totalmente cambiato. Prima coltivava, come il fiore più bello del suo spirito, l'ansia del martirio: dare la vita per Cristo, come Cristo l'aveva data per lui. Per riuscire in quest'intento raggiunse anche la Tunisia, con l'obbedienza di Francesco. Adesso no. Adesso conosceva un'altra morte e un'altra vita: la morte a se stesso, la vita con Dio. Ed esclamava: «Sono contento che allora non mi abbiano martirizzato».

Natale davvero benedetto quello del 1226!
In esso il nostro frate Egidio rinacque con Gesù. Da allora cominciò a vivere come un beato del cielo. Giunse a dire, riferendosi a se stesso: «So di un uomo che ha visto così chiaramente Dio da perdere del tutto la fede».
Vedendolo così immerso in Dio, un altro suo compagno commentava: «Porta deliziosamente dentro di sé il Figlio della Vergine».
Da quel Natale di Cetona, durante i trentun anni che gli rimasero da vivere, il nostro uomo considerò quel luogo come il più degno di venerazione che vi fosse al mondo.

A frate Egidio, naturalmente, non mancarono prove, dispiaceri, afflizioni, dolori lungo il cammino della sua vita, che si acutizzarono nell'ultimo anno.
Il Maligno si accanì contro di lui, lanciandogli alla disperata forti attacchi psicologici, e persino fisici. Sofferente e angosciato, si sfogava col suo fedele compagno: «Perché il diavolo si da tanto da fare per ostacolare i benefici di Dio? Fosse solo una volta o l'altra, sarebbe sopportabile. Sta pur certo, però, che più egli lotta contro Dio nel tentativo di togliermi la pace, più grande sarà la sua sconfitta».
Così egli sopportava tutto con fermezza, fiducia e pazienza; e diceva: «L'inizio del mio servizio a Dio non è stato mio, ma di Dio. Di Dio sarà egualmente la mia fine, per la sua misericordia. Il diavolo non sarà certo più forte di Lui».

Sperimentava la sua debolezza, passava per il suo Getsèmani, saliva il suo Calvario. Era Dio che lo stava purificando. Non perdette comunque né l'acutezza di mente né il fervore del cuore. Ripeteva ora all'uno ora all'altro dei suoi frati: «Che te ne pare, fratello? Ho trovato un tesoro così grande, così prezioso, che la mia lingua di carne non sa né descriverlo né valutarlo. Che ne pare a te? Se il Signore ti illumina al riguardo, dimmelo».
Lo diceva in maniera infuocata, come ubriaco d'amore divino. E gli altri non riuscivano a rispondergli: non sapevano se dirgli che si trattava della sua unione con Dio nella preghiera, o se era la gioia che provava per l'imminente abbraccio con Cristo in cielo, perché prevedeva vicina la propria morte.
Quando poi insistevano affinché mangiasse qualcosa, egli era solito rispondere con un sorriso luminoso: «Ho già con me, fratello, il cibo migliore».

I cittadini di Perugia si preoccuparono: Egidio aveva trascorso tanti anni nella loro città: lo ritenevano il loro santo. Distaccarono, quindi, un picchetto permanente di soldati a vigilare, perché nessuno potesse strappar loro la reliquia del suo corpo, come avevano fatto quelli di Assisi con Francesco.
Egli avrebbe preferito che lo seppellissero alla Porziuncola, tuttavia lasciava fare. Volle perfino essere profeta e dette ai suoi frati un incarico: «Dite a quelli di Perugia che per me non avranno da suonare le campane, né a motivo di grandi miracoli né per la mia canonizzazione. Non sarà dato altro segno che non sia quello di Giona».
Quando vennero a sapere di quell'annuncio che sapeva di profezia, i perugini commentarono: «Beh, canonizzato o no, lo vogliamo con noi!».

Aveva settantadue anni.
Il suo stato di salute si andò aggravando. Febbre alta, tosse frequente, insistente mal di testa, fastidiosa oppressione al petto; senza poter mangiare, né dormire, né riposare. Dovevano metterlo a sedere sul letto, perché trovasse un po' di sollievo.
Sentendo giunta la sua agonia, «lo misero disteso sul suo povero giaciglio. E in tutta serenità, senza una smorfia né uno spasimo, occhi e labbra sigillate - quasi a custodire gelosamente il suo tesoro interiore -, quell'anima santissima, liberata dalla carne, fu rapita in Paradiso».
Così descrive la sua morte il biografo.

Era il 23 aprile del 1262, festa di S. Giorgio, la stessa data della sua nascita francescana presso la Porziuncola, 59 anni prima.
Con lui moriva il più idealista di coloro che il giullare di Dio chiamava «I miei Cavalieri della Tavola Rotonda».

Fu sepolto nello stesso eremo di Monteripido, vicino alla città di Perugia.
I perugini, cercando dei marmi con cui costruirgli un degno sepolcro, si imbatterono in una tomba sulla quale era raffigurata la storia di Giona, e allora interpretarono le parole profetiche del benedetto frate Egidio: il segno biblico dato da Gesù come annuncio della sua risurrezione, era servito a lui, per esprimere come la sua vita eterna con Cristo fosse l'unica gloria postuma che lo interessava.
Più tardi venne innalzata una bella chiesa nel luogo stesso in cui aveva ricevuto tanti favori celestiali: nella costruzione dell'edificio furono utilizzate le pietre della sua cella e il legno di un albero vicino, sotto il quale si era tante volte incontrato con Cristo nelle sue estasi.

Pio VI, il 4 luglio 1777 ne approvò il culto di beato, fissandone la sua festa per l'Ordine al 23 di aprile, data iniziale e terminale di questo genuino francescano della prima ora.

 

Di seguito un articolo di Daniel Kowalewski:

«Testimonianze bonaventuriane su Egidio di Assisi»