Elia Bombarone di Assisi

 

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La personalità autentica di frate Elia è stata, purtroppo, falsata da episodi successivi al 1238-1239, e sfruttati soprattutto dalla corrente degli Spirituali.

Doveroso, dunque, distinguere in due tempi l’attività e la personalità di frate Elia:
- un primo tempo comprende l’operato del frate durante la vita di s. Francesco e nel periodo del suo primo generalato (1221-1227);
- un secondo tempo è quello del suo secondo generalato (1232-1239) e soprattutto degli anni 1238-1253.

Il primo frate Elia, stando alle cronache, risulta essere «uomo ornato talmente di umana sapienza e prudenza, da essere sommamente stimato tra gli uomini del suo tempo, sia dalla curia romana che da quella imperiale» (Cronaca dei XIV Generali).
Il contemporaneo Tommaso Eccleston si era già domandato: «Chi, in tutto il mondo cristiano, più imponente e più famoso di Elia?».
Del resto, la stima che ne aveva il santo, il quale «lo riteneva come madre e lo elesse padre degli altri frati» (I Cel., n. 98), fa pensare, oltretutto, alle doti di prudenza e di governo che senz’altro gli furono riconosciute sin dal suo ingresso nell’Ordine.

Nonostante le illazioni per identificare frate Elia con l’ignoto «primo amico» di s. Francesco, nel periodo della conversione (cf. I Cel., n.6), è da sottolineare che su di lui si conosce ben poco.
Fu senza dubbio un uomo di grande intelligenza, di carattere forte, organizzatore tenace, dalle ampie vedute: un uomo teso verso il futuro.
Tenacia e tenerezza, sagacia e prudenza si fondevano in lui: per questo, Francesco lo inviò a fondare ed organizzare la Provincia d’Oltremare e lo scelse poi come suo vicario.
Frate Elia ripagò senz’altro il poverello serafico della fiducia in lui posta e vi corrispose. Non si potrebbero spiegare altrimenti le continue reciproche attenzioni fra i due, né la benedizione che s. Francesco gli dette in punto di morte, né la lettera piena di sincera ammirazione che frate Elia inviò a tutto l’Ordine, per annunciare la morte del «Padre», né l’affetto tenace con il quale realizzò la grandiosa basilica-monumento di Assisi in suo onore (della basilica di Assisi, frate Elia fu anche l’architetto; e questo ci rivela un’altra delle sue molteplici capacità. Si suppone, del resto, che anche dopo la sua scomunica, quando seguì l’imperatore Federico II, fu lui l’architetto delle fortificazioni imperiali nell’Italia meridionale).

Elia, del contado di Assisi, con un passato da giurista, entrò nell’Ordine intorno al 1211.
S. Francesco lo ritenne come «madre» e consigliere; e forse si appoggiò alla sua forza, che contrastava nettamente con la sua umiltà e semplicità, nei momenti di maggiore sfiducia.
Finché Francesco visse, poté regolare e frenare gli impeti dell’esuberante amico, sfruttandone in bene la sapienza e prudenza che tutti gli riconoscono; nel 1214 frate Elia è nominato primo ministro provinciale di Terra Santa; dopo il 1220 egli fu il portavoce di Francesco, l’intermediario tra la fraternità e il santo, e tra la fraternità e il pontefice.

Al primo generalato di frate Elia (1221-1227), seguì quello di Giovanni Parenti (1227-1232), allo scadere del quale, fu nuovamente eletto Elia (1232-1239).
Dagli storici moderni l’opera svolta da frate Elia durante il suddetto secondo suo generalato è vista e descritta con maggiore obiettività, e pertanto la sua figura ne risulta riabilitata.
Non sono più ritenuti attendibili i giudizi negativi, formulati nei suoi confronti nelle antiche narrazioni di parte, come è in genere tutta la letteratura degli Spirituali.
Senza dubbio c’è molta scoria da scartare in tali cronache tendenziose, che, in maniera determinante, contribuirono a falsare il giudizio obiettivo su questo vicario di Francesco (che il santo, come sopra puntualizzato, talvolta chiamava «madre»), amantissimo di lui e da lui singolarmente benedetto prima della morte.
Forse il fatto di essere passato negli ultimi anni della sua vita alla parte imperiale, e la conseguente scomunica, gettarono un’ombra sull’intero suo operato, che per secoli oscurò la sua fama.

Frate Elia era un uomo nato per il governo, una mente capace di superare le difficoltà e di realizzare i progetti più arditi. La sua fermezza di governo e l’organizzazione solidissima data all’intera fraternità, che sembravano squadrare e livellare le anime come le pietre, furono sommamente provvidenziali per l’Ordine.
Anche se si ammette qualche angolosità nel suo carattere forte e dominatore, congiunta con alcuni eccessi commessi dai visitatori o dai superiori (fratelli laici) e coi metodi fiscali usati nella raccolta del denaro per la basilica di S. Francesco, tuttavia la sua azione ebbe un peso determinante nell’impostazione delle Provincie e nelle attività dell’Ordine.

Fu inflessibile nell’esigere uguaglianza di posizione e di vita da parte dei dotti, dei chierici, e dei laici di fronte alla Regola e alla disciplina conventuale. Ciò infatti gli provocò contro il malumore dei chierici e della corrente anglo-franco-germanica, contraria alla prevalenza italiana nell’amministrazione dell’Ordine, per cui nel Capitolo del 1239 costoro ne provocarono l’assoluzione dal governo (non deposizione).
Neppure vale l’appunto fattogli di non avere celebrato il Capitolo ogni tre anni (su cui la Regola lasciava libertà al ministro generale), né le accuse di fasto e di violazione della povertà che si riscontrano nella letteratura spirituale.

Esaminando con attenzione le fonti, si evince che nella stragrande maggioranza dei frati non vi furono contrasti per l’erezione della basilica assisana, voluta da Gregorio IX, nel cui nome agiva frate Elia; e neppure dell’annesso sacro convento, che era appena un terzo dell’attuale, più spazioso di altri conventi del tempo, ma povero e modesto, nel quale abitarono senza difficoltà taluni rigidi compagni di s. Francesco, come frate Leone e frate Masseo.
Lo stesso frate Egidio approvò quella costruzione per la gloria di s. Francesco.
Semmai una cosa che veramente macchiò il suo governo e gli procurò non pochi oppositori, fu il tentativo di sopprimere con la violenza la corrente che nasceva dagli «zelanti della povertà e dell’ideale francescano», definiti «disubbedienti», e contro i quali ottenne dal pontefice l’autorità di agire: vengono così ricordate dalle fonti le persecuzioni contro taluni compagni di Francesco, che furono dispersi in vari luoghi, qualcuno frustato, altri incarcerati. Frate Cesario da Spira, ad esempio, sarebbe morto in carcere per il trattamento subito dal suo custode, il quale pensò che volesse fuggire.

Data la diversità di versioni e di giudizi, non è cosa facile giudicare fino a qual punto sia giunta la sua colpevolezza morale circa questi fatti incresciosi e circa la sua caduta politica: forse nella repressione dei «disubbedienti» lo zelo dei suoi sostenitori si spinse molto più in là di quello che lui non volesse e non pensasse.
D’altra parte i motivi per cui intervenne, ritenuti veri e validi dal sommo pontefice, che lo autorizzò, fanno pensare che egli perseguisse una linea di governo dura, rettilinea, ed inflessibile di fronte a chiunque.

Con lui l’Ordine prese un più rapido sviluppo di attività scientifica ed apostolica, ed una mirabile consistenza di disciplina e di potenza dinanzi alla Chiesa e alla stessa società civile.
Organizzò sapientemente tutta la fraternità, dividendola in 34 Provincie («cismontane» e «ultramontane»).
Dette un vigoroso impulso agli Studi di Parigi e di Bologna, alle missioni, alle opere di apostolato sociale.
Allo stesso tempo mantenne un forte comando e, fedele allo spirito del fondatore, volle anche la rigida osservanza della povertà per tutti i frati, sacerdoti e laici.
Certo è che nell’Ordine i sacerdoti andavano aumentando sempre più, e lo stesso frate Elia dovette cedere alla corrente ormai preponderante di questi, che vollero anche esclusi dal governo i fratelli laici.

Nel Capitolo generale del 1239 (temendo che non fosse da lui convocato, i provinciali lo prevenirono con l’interporre un appello presso il pontefice), frate Elia venne esonerato dalla carica alla presenza del papa, che del resto gli era favorevole.
Fu eletto frate Alberto da Pisa, il primo sacerdote che occupava tale ufficio.
Curioso, in questo Capitolo, il fatto che si fece rinnovare a tutti i capitolari la professione della Regola del 1223, perché pare che frate Elia, tra le scuse addotte specialmente riguardo alla sua vita privata, abbia portato anche quella che non aveva professato tale Regola, ma le precedenti; nelle stesse condizioni si trovavano altri religiosi, per cui si credette utile una tale precauzione.

Dopo la sua destituzione, frate Elia si recò dall’imperatore Federico II, che Gregorio IX aveva scomunicato poco dopo il Capitolo generale, e che il nostro voleva, probabilmente, riconciliare con la Chiesa.
In una lettera indirizzata al papa - andata smarrita prima di giungere al mittente - Elia stesso deve aver spiegato al pontefice la propria motivazione: «per il solo scopo di ricondurre l’imperatore a una vita migliore alla pace con la Chiesa» (Analecta Franciscana, III, 250).

Anche Elia venne scomunicato, e, conseguentemente, considerato un nemico da ritenere capace di ogni scelleratezza.
Come frate scomunicato, nel 1241/1242 fu inviato dall’imperatore in Terra Santa, al fine di ottenere una riconciliazione tra il patriarca di Costantinopoli e l’imperatore bizantino. La sua missione avrebbe avuto successo se papa Gregorio IX non fosse stato così accanito contro l’imperatore.

Frate Elia, in compagnia di una decina di frati rimastigli fedeli, si rifugiò allora a Cortona (da qui il nome: Elia da Cortona), roccaforte imperiale.
In due diverse riprese (13 gennaio 1245 e 7 gennaio 1246) la città gli fece dono di un terreno e di una casa, accanto alla quale il frate edificò una chiesa in onore di S. Francesco - il che manifesta ancora una volta il suo affetto per il santo -.
Caduto ammalato verso la Pasqua del 1253, venne assolto, il Giovedì Santo, da Benci, arciprete di Cortona.
Morì il martedì 22 aprile 1253 e fu sepolto in S. Francesco di Cortona.
Ma più tardi gli Spirituali riesumarono i suoi resti gettandoli nelle immondizie! (cf. Godefroy, Les Fioetti, Parigi 1947).

Un bellissimo quadro della Crocifissione di Giunta Pisano lo ritrae ai piedi di Gesù con la seguente iscrizione: «Frate Elia mi ha fatto fare. Gesù Cristo, abbi pietà di Elia che ti prega. Giunta Pisano mi dipinse. Nell’anno del Signore 1236, nono del pontificato di Gregorio IX».

Prima di concludere è debito sottolineare l’affetto che legò Chiara d’Assisi a frate Elia: sin dal 1230 questi fu il prezioso confidente della Santa e di sua sorella Agnese.
La «pianticella di Francesco» valutava il consiglio di Elia al di sopra di tutto, e questo negli anni seguenti al 1235, quando la luce del discusso frate, all’interno dell’Ordine, era ormai al tramonto.
Dopo la destituzione, frate Elia, senza chiedere il necessario permesso papale, continuò a mantenere costanti contatti con le «Povere Dame» e con la stessa Chiara, la quale, stando alle fonti, «gli rimane fedele anche quando ha già oltrepassato il suo zenit e mantiene con lui contatti anche dopo la scomunica»!
Avrebbe potuto Chiara osare tanto, se non avesse visto in frate Elia un’autentica santa persona?

 

Per quanti desiderino approfondire la vita di frate Elia, vengono proposte due sue biografie:

* Anonimo cortonese, Vita di frate Elia da Cortona, (1763)

* P. Ireneo Affò, Vita di frate Elia (1819)