Pacifico

 

testo alternativo

Tra i compagni più intimi di Francesco d'Assisi, uno di quelli che getta una gran luce sulla stessa figura storica e agiografica del santo, è senza dubbio il celebre frate Pacifico, conosciuto anche come il «Re dei versi».

Non pochi episodi delle gesta del poverello assisiate si collegano e si integrano in lui, rendendolo, conseguentemente, soggetto di ricerche e di studio.

Pacifico è un genio che ha raccolto e cantato la lirica popolare del suo tempo, preparando «lui pure il terreno al dominio della lingua di Dante e d'Italia: è l'amico in pieno possesso della stima affettuosa di Federico II, del principe universale che schiuse con mano possente l'evo moderno: è il laudese coronato con insolita pompa, la cui fronte di alloro verdeggiante parla del suo valore, della sua vita di corte, delle sue gaie avventure di gloria e di mondo: è la conquista grande da frate Francesco fatta nella città di Sanseverino-Marche, nella primavera del 1216» (Ciro da Pesaro, I Compagni di San Francesco: Fra Pacifico "Rex versuum", in Frate Francesco, Tip. Porziuncola, Anno II, 1925).

La patria di Pacifico, «Rex versuum», è contrastata dagli storici; certo è che egli fu figlio del Piceno.
Della sua vita nel secolo, il Celano ha tracciato le linee più salienti.
Uomo dimentico di sé, noncurante di Dio; orgoglioso della sua lirica, superbo del proprio nome; trovatore lascivo, pieno di mondanità.
Aveva una sorella monaca nel monastero dello storico Colperseto, a pochi passi dalle mura castellane di Sanseverino.
Un giorno, con allegra comitiva di gioventù recante liuti e mandole, egli volle visitare la detta sorella e mosse i passi verso Colperseto.
Quel luogo, normalmente solitario e quieto, era animato da uno straordinario concorso di gente, la quale non solo gremiva la piccola chiesa delle «sorelle di s. Chiara», ma l'intero piazzale e buona parte del bosco circostante.

Il «Re dei versi» vedeva tutto questo senza conoscerne il movente.
Avvicinatosi ad un gruppo di uomini, domandò la ragione di tutto quel movimento popolare. Gli fu risposto che doveva arrivare un uomo nuovo, un penitente straordinario, un predicatore di alto grido chiamato frate Francesco di Assisi, il quale avrebbe parlato alla moltitudine lì convenuta e, forse, avrebbe operato dei miracoli.
Una forte curiosità s'impadronì subito del giovane poeta, inchiodandolo sul piazzale, in attesa.
Un frenetico mormorìo di voci annunciò l'arrivò di quel piccolo uomo di Assisi, il quale, accompagnato da frate Paolo della Marca e da una bianca pecorella, si fermò sulla piazza.
Presto iniziò a parlare.
Il «Re dei versi» era lì, a contemplarlo e a porgere attento l'orecchio alle sue parole.
La strana foggia di quel vestire in contrasto con tutta la pompa del secolo, l'accento singolare e vibrato del dire, la misteriosa novità dell'argomento, impressionarono fortemente il poeta.
Ad un tratto quell'uomo nuovo dalla testa rasa, dal piede scalzo, cinto di rozza fune, ricoperto di lacera tunica, si trasformò, alla vista del futuro «fra' Pacifico», in croce: due fulgenti spade ne costituivano le aste: la prima formava l'alto fusto che muoveva dai piedi ed arrivava e ne sorpassava la testa; la seconda serviva da traversa, che partendo dalla sinistra passava per il petto e terminava alla destra mano.
Una croce perfetta di due spade, e su quella croce era il penitente d'Assisi: frate Francesco!
Attonito davanti a tale spettacolo, il «Re dei versi» rimase folgorato! Quella visione colpì il cuore del poeta, convertendolo interamente a Dio.

Il giorno seguente, infatti, quel giovane marchigiano, deciso a seguire le orme di Francesco, comparve vestito di sacco, cinto di corda nodosa, scalzato nel piede, con il capo raso.
L'apostolo umbro lo abbracciò; lo accolse tra i suoi compagni ribattezzandolo col nome di frate Pacifico.
Sarebbe divenuto uno dei frati prediletti del santo assisiate!

Narra il quattrocentesco frate Giacomo Oddi: «Quisto beato se portò sì pacificamente et santamente nell'Ordine, che santo Francesco spesse volte lo menava seco; et la sua conversatione era de tanta humiltà, che ad tutti era exemplo del vera santità.
Per questa sua humile conversione meritò da Dio avere molte consolatione spirituale et visione et revelatione meravegliose et stupende, come se dirà de sotto.
Quisto fo lo primo Ministro che fosse in Francia. Lo quale officio ministrò et governò con molta descriptione et santità; et molta gente se convertì al Signore per lo suo bono exemplo.
Nante che quisto beato andasse in Francia, meritò da Dio de vedere nella fronte de santo Francesco lo segno del grande Thau, el quale per li variati colori che conteneva in sé, facia la faccia de santo Francesco resplendere de meraveglioso adornamento.
Anche quisto beato meritò da Dio questa altra visione mirabile. Andando frate Pacifico una fiata con santo Francesco per viaggio, li occurse de albergare ad uno hospitale de leprosi sotto lo castello de Trieve.
Disse santo Francesco ad frate Pacifico: "O fratello mio, io voglio che tu remanchi ad quisto hospitale per questa notte, et io anderò a la chiesta de Santo Pietro de Bovaio che sta qua poco de lunga, et domatina ad bona hora tu verrai ad me". Et cosi fecero.
La matina per tempo frate Pacifico se n'andò ad santo Francesco, como lui gli avia comandato, et intrando nella chiesia trovò santo Francesco che stava in genocchione donante a l' altare in oratione; et non volendolo impedire, se puse anche lui in oratione.
Lo quale subito fo rapito fuore de sé in Dio ; et menato lo spirito suo in ciclo, vidde molte sedie vacue, et intra l'altre ce ne vidde una molto più alta et de più belleza dell'altre. Et reguardando la belleza de quella sedia domandò de chi ella fosse. Folli resposto che quella sedia era stata de uno de li angeli seraphini che cascaro, et nel loco d'esso dovea sedere l'umele Francesco.
Et essendo tornato in sé frate Pacifico, et santo Francesco levato da la oratione, parea ad frate Pacifico vedere santo Francesco già regnare in cielo, et per questo gli se recomandava molto devotamente.
Et essendo entrati per la loro via, frate Pacifico comenzò a repensare sopra quella visione tanto mirabile, et comenza a domandare santo Francesco, dicendo: "Patre, do, dimme que te pare essere in te medesimo?".
Respuse santo Francesco: "Ad me me pare d'essere el maiure peccatore che sia ogi nel mondo". Et subito fo ditto nell'anima de frate Pacifico: "Mo poi tu credere veramente la visione essere vera; imperò che l'umele Francesco per la sua humiltà deve sedere nella sedia de uno de li angeli seraphini, cioè del superbo Lucifero".
Quisto homo de Dio frate Pacifico fo perfetto observatore de la sua regola, como vero figliolo de sancto Francesco, et como stella diede, chiarore meraveglioso, nel mondo mobtenebrato. Finalmente passò quella anima santa de questa vita, piena de virtù et santità, a la gloria de li beati, lassando depo sé odore de vera santità. Amen»
(G. Oddi, La Franceschina, II, pp. 81-83).

Frate Pacifico, probabilmente, morì in Francia, mentre vi era Ministro provinciale per la seconda volta.