Silvestro di Assisi

 

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Narra Tommaso da Celano:
«Silvestro era un sacerdote secolare della città di Assisi e da lui un tempo l'uomo di Dio [Francesco] aveva comprato pietre per riparare una chiesa.
Quando vide, in quei giorni, frate Bernardo, che dopo il Santo fu la prima pianticella dell'Ordine, lasciare completamente i suoi beni e darli ai poveri, si sentì acceso da una cupidigia insaziabile e si lamentò col servo di Dio per le pietre, che un tempo gli aveva vendute, come se non gli fossero state pagate completamente. Francesco, osservando che l'animo del sacerdote era corroso dal veleno dell'avarizia, ebbe un sorriso di compassione. Ma, desiderando di portare in qualunque refrigerio a quella arsura maledetta, gli riempì le mani di denaro, senza contarlo.
Prete Silvestro si rallegrò dei soldi ricevuti, ma più ancora ammirò la liberalità di chi donava.
Ritornato a casa, ripensò più volte a quanto gli era accaduto, biasimandosi santamente e meravigliandosi di amare, pur essendo ormai vecchio, il mondo, mentre quel giovane disprezzava in tale modo tutte le cose.
Quando poi fu pieno di buone disposizioni, Cristo gli aprì il seno della sua misericordia, gli mostrò quanto valessero le opere di Francesco, quanto fossero preziose davanti a lui e come il loro splendore riempissero tutta la terra.
Vide infatti, in sogno, una croce d'oro, che usciva dalla bocca di Francesco: la sua cima arrivava ai cieli, i bracci protesi lateralmente cingevano tutto attorno il mondo.
Il sacerdote, compunto a quella vista, scacciò ogni ritardo dannoso, lasciò il mondo e divenne perfetto imitatore dell'uomo di Dio. Cominciò a condurre nell'Ordine una vita perfetta e la terminò in modo perfettissimo con la grazia di Cristo»
(II Cel., n. 109).

Grande scalpore, naturalmente, suscitò in Assisi l'adesione del sacerdote Silvestro ai «penitenti della Porziuncola»; un prete, anzi un canonico dava fede a quel gruppo di giovanotti, di cui Assisi non riusciva ancora a capire la serietà; come fare a ritenerli completamente pazzi, se addirittura uno stimatissimo anziano prete aveva deciso di porsi alla loro sequela?

Da un attento esame delle fonti è possibile affermare (pur con le dovute riserve) che Silvestro sia entrato nell'Ordine dopo l'approvazione della primitiva «forma di vita» da parte di Innocenzo III (1209-1210).
E' stato già accennato che era canonico della chiesa di S. Rufino: il suo nome appare, infatti, tra i documenti dell'archivio stesso, alla fine del sec. XII e agli inizi del sec. XII.
Verosimilmente, era tra i canonici più abbienti, se Francesco - al tempo del restauro della chiesetta di S. Damiano - si rivolse a lui per ottenere pietre.
Silvestro, affiancatosi a Francesco - dopo aver dato ai poveri tutto quanto possedeva -, dimostrò subito di voler fare sul serio, sottoponendosi non solo all'obbedienza del fondatore - lui sacerdote, canonico e avanti con gli anni -; ma accettando anche le penitenze e le privazioni corporali; egli non avrebbe mai sopportato di restare una controfigura, né di mantenere il suo complesso di inferiorità, davanti agli altri giovani. E presto, a detta delle cronache: «crebbe nella semplicità di vita, humiltà, disprezzo di se stesso, e del Mondo; e pervenne a tanta elevatione di mente nelle cose celesti, che parlava con Dio faccia a faccia, come faceva Moisé» (L. Iacobilli, Vite, I, p. 301).

Volendo redimere il tempo trascorso tra gli spasimi dell'avarizia, Silvestro si dedicò all'orazione più assidua, arrivando, con l'esercizio graduato, ad una austerità indicibile; ed oltre all'osservanza perfetta della castità e dell'obbedienza, raggiungerà una povertà tanto distaccata, che si dirà di lui «nulla cosa avea sotto lo cielo. La sua habitatione era una vile celluza, fatta de rami d'arbori» (La Franceschina, II, p. 22).
E colui che «aborriva la vita di Francesco e dei suoi frati» (come sottolinea Enrico d'Avranches) divenne il consigliere specializzato, la guida spirituale a cui il primitivo drappello si affiderà.
E ciò non solo perché fu il primo sacerdote entrato nell'Ordine, ma soprattutto per il suo spirito di preghiera e di penitenza, che lo pose «in tanta amicitia de Dio, che con esso parlava como fa uno amico coll'altro» (La Franceschina, II, p. 22).

Narra il Celanese: «[Francesco] arrivò un giorno ad Arezzo, mentre tutta la città era scossa dalla guerra civile e minacciava prossima la sua rovina. Il servo di Dio venne ospitato nel borgo fuori città, e vide sopra di essa demoni esultanti, che rinfocolavano i cittadini a distruggersi fra di loro. Chiamò frate Silvestro, uomo di Dio e di ragguardevole semplicità, e gli comandò; "Va' alla porta della città, e da parte di Dio Onnipotente comanda ai demoni che quanto prima escano dalla città". Il frate pio e semplice si affrettò ad obbedire, e dopo essersi rivolto a Dio con inno di lode, grida davanti alla porta a gran voce: "Da parte di Dio e per ordine del nostro padre Francesco, andate lontano di qui, voi tutti demoni!". La città poco dopo ritrovò la pace e i cittadini rispettarono i vicendevoli diritti civili con grande tranquillità» (II Cel., n. 108).

Il rispetto che s. Francesco aveva per tutti i sacerdoti deve aver trovato la sua concretezza subito con la dimostrazione di totale devozione verso il prete Silvestro, al quale «santo Francesco volea che non fosse dato nullo impedimento, ma che fosse lassato stare nella sua quiete et devotione, acciò che meglio vacasse a le divine contemplazioni» (La Franceschina, II, p. 22).

Anziché andare per i campi ad aiutare i contadini, o sulle strade a questuare, Silvestro si dedicò quasi completamente alla preghiera, nei romitori solitari, soprattutto nelle grotte del monte Subasio, presso la cappella di S. Maria delle Carceri.
Questo sottolinea il rispetto per le singole personalità, che era a base del primitivo francescanesimo, e la libertà di vita che era concessa ai frati, agli inizi dell'Ordine: ogni strada è buona ed accettabile per il frate Minore: la cura dei lebbrosi, la predicazione in patria, l'apostolato tra gli infedeli, il lavoro dei campi in aiuto ai contadini, e la contemplazione nelle selve e nelle grotte.
Silvestro scelse la solitudine. E di lui è attestato: «Quisto fo veramente Silvestro, imperò che sempre era per le selve et lochi foresti in vita contemplativa» (La Franceschina, II, p. 22).
E in lui viene testimoniato che, a qualunque età e da qualsiasi condizione, si poteva seguire Francesco e ci si poteva inserire nella luce della croce d'oro che da lui emanava, per fugare il demone dell'avarizia e della cupidigia, e per liberare le anime dagli odi dei partiti.

«Havendo questo Beato Padre operato molti miracoli, essendo pieno di meriti, e virtù, e insigne di santità, se ne salì al Cielo adì 4 di Marzo 1240 nel Convento di S. Francesco d'Assisi. Il suo corpo riposa sotto la Cappella della Concettione nella Chiesa di detto Convento» (L. Iacobilli, Vite, I, p. 302).