La Verna (AR)

 

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«NON EST IN TOTO SANCTIOR ORBE MONS»
(«Non vi è nel Mondo altro monte più santo»)

Il santuario della Verna s'innalza maestoso e improvviso al centro d'Italia, nella crudezza della roccia impervia dell'Appennino tosco-romagnolo: quasi un'isola emergente fra i monti che gli fanno da corona, in provincia e diocesi d'Arezzo, tra due fiumi famosi: il Tevere e l'Arno.
La sua forma è singolarissima: visto in lontananza appare, da una parte, come una nave lanciata nel mare; da un'altra, un leone accovacciato in attesa della preda.
La forma geografica, comprendente il territorio donato a frate Francesco, fu tracciata dallo stesso santo assisiate nel geroglifico su cui poggia il Tau, in fondo alla benedizione scritta da Francesco per frate Leone.

La cima della montagna su cui poggia il santuario raggiunge i m. 1183; ma il monte sale ancora, sino alla punta della Penna (1283 m.), da dove si scoprono le ubertose colline dell'Umbria, le alture del Falterona e del Fumaiolo, dalle cui viscere sgorgano l'Arno e il Tevere, e una vallata immensa.
Ai piedi dell'altura, restano i ruderi del castello del conte Orlando e la cittadina di Chiusi.

La descrizione più bella, più appropriata e incisiva del recondito luogo è stata e resta quella dell'Alighieri: 

«Nel crudo sasso intra Tevero e Arno 
da Cristo prese l'ultimo sigillo
che le sue membra due anni portarno»
 

(Paradiso, canto XI, vv. 106-108).

Anche oggi molti scrittori, imitando l'Alighieri, sono soliti chiamare questo monte: «Crudo sasso», traduzione, questa, della denominazione più antica: «Petra de Verna» o «Saxo de Verna».

I primi biografi di s. Francesco: Tommaso da Celano (I Cel., 2,3); I Tre Compagni (3 Comp., 17); s. Bonaventura (Leg. maior, 17, 1 e 7); Bartolomeo da Pisa (in A.F., IV, Quaracchi 1892, 206, 262, 435, etc.) usano l'appellativo: «Alverna».

Anche nei documenti pontifici e dei vescovi d'Arezzo, normalmente, nel sec. XIII, viene usato il nome: «Alverna».
Lo stesso nelle bolle di Innocenzo IV e di Alessandro IV.
In Alessandro IV e nell'Atto di conferma della donazione del sacro monte ai frati Minori, compare la denominazione più addolcita: «Alvernia» o «Vernia».

Oggi, il monte, unitamente al santuario, è detto: «Verna» e anche, ma meno correttamente: «La Verna».

Già dall'antichità, molti scrittori di cose alvernine e francescane, per indicare il suddetto luogo, volendolo comparare a qualche monte biblico, lo chiamano: «Calvario serafico», «Appennino serafico», e anche: «Sinai, Tabor e Sion francescano».
Francesco d'Assisi, salutandolo per l'ultima volta, lo indicò come: «Monte di Dio! Monte Santo! Mons in quo beneplacitum est Deo habitare!», perché in questo monte vi incontrò il suo Dio in Cristo Crocifisso, e ne portò nel corpo il segno indelebile sino alla morte.

La storia francescana della Verna ha il suo prologo il giorno 8 maggio 1213, nel castello di S. Leo di Montefeltro.
Vi si celebrava l'investitura a cavaliere di un figlio dei conti di Montefeltro.
Francesco, passando di là, vi salì con frate Leone: «Andiamo quassù a questa festa - disse -, però che coll'aiuto di Dio noi faremo alcuno buono frutto spirituale» (Della prima considerazione delle sacre sante istimate).
Tra gli altri nobili signori vi era un grande e gentil uomo di Toscana, il quale, da tempo, desiderava ardentemente incontrare Francesco e sentirne una predica.
Dopo averlo ascoltato, gli chiese la cortesia di un colloquio, per esporgli i fatti della sua anima. Al termine del colloquio il nobile conte Orlando di Chiusi in Casentino - così si chiamava - gli offrì in dono il monte della Verna: «Io ho in Toscana un monte devotissimo, il quale è molto solitario e salvatico ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza in luogo rimosso dalla gente, o a chi desidera vita solitaria. S'egli ti piacesse, volentieri il donerei a te e a' tuoi compagni per la salute dell'anima mia» (Della prima considerazione delle sacre sante istimate).

Francesco, in quel periodo, era in viaggio per andare in Africa, desiderando morire martire di Cristo, e Cristo gli fa offrire un monte dove egli stesso lo crocifiggerà.

La donazione del monte che messer Orlando fece a frate Francesco e ai suoi compagni, fu fatta solo oralmente, nel suddetto giorno: 8 maggio 1213.
Per 61 anni i frati vi dimoreranno pacificamente sulla parola del donatore.
Il dono sarà ratificato dai figli: Orlando junior, Cungio, Bandino e Guglielmo, il 9 luglio 1274, dopo la morte del loro padre, benefattore e amico di Francesco, per confermare quel dono.
Nell'atto è scritto «che il Signore Orlando, conte di Chiusi, uno dei più prodi tra i guerrieri dell'Imperatore, donò, accordò, consegnò al Padre Francesco e a' suoi compagni i frati, presenti e futuri, il Monte Alverna, affinché il detto Padre Francesco e i suoi frati vi dimorassero» (Atto di conferma, in La Verna - 1913, 11, 101-105).

Utile sottolineare che messer Orlando al primo dono ne fece seguire molti altri.
Egli, infatti, fece costruire le capanne per Francesco e gli altri frati; offrì loro la sua assistenza: «Frati miei carissimi - disse loro sul monte donategli, prima di discendere al suo castello -, ei non è mia intenzione che in questo monte salvatico voi sostegnate niuna necessità corporale, per la quale voi possiate meno intendere alle cose spirituali; e però io voglio, e questo vi dico per tutte le volte, che a casa mia voi mandiate sicuramente per ogni vostro bisogno: e se voi faceste il contrario, io l'avrei da voi molto per male» (Della seconda considerazione delle sacre sante istimate).
Aiutò Francesco nella costruzione della chiesetta di S. Maria degli Angeli, tra il 1216 e il 1218.
Ma vicende avverse non permisero sia a lui che ai figli di fare quanto avrebbero desiderato.
L'atto di conferma stipulato dai suoi figli sottolinea tutto l'amore che avevano a s. Francesco e al loro padre.
Nello stesso atto donarono ai frati anche le cose usate dal santo, quando fu ospite nel loro castello.
Oggi esse si conservano gelosamente tra le più insigni reliquie.

Orlando padre passò gli ultimi anni della sua vita tra i suoi «frati carissimi».
Tra loro morì nell'anno 1263 e fu sepolto nella chiesetta di S. Maria degli Angeli.
Orlando (o Rolando) è onorato, nell'Ordine, col titolo di beato; se ne fa memoria il 30 giugno.

Tra i discendenti del conte Orlando si parla di frate Francesco Catani, il quale si adoperò molto presso la Signoria di Firenze e presso Martino V (1417-1431) ed Eugenio IV (1431-1447), perché su questo monte fosse conservata la genuina vita francescana.

L'offerta del monte della Verna riempì l'animo di Francesco di estrema gioia.
Il santo accettò il dono con prudente riserva: «Io manderò a voi - disse al generoso benefattore - de' miei compagni e voi mostrerete loro quel monte e s'egli parrà loro atto a orazione e a fare penitenza, insino a ora io accetto la vostra caritativa profferta» (Della prima considerazione delle sacre sante istimate).

Il racconto delle «Considerazioni sulle Stimmate» non tiene conto delle ripetute ascensioni addotte da Francesco sul monte della Verna, ma esse risultano esser state molteplici.
La prima fu nell'estate del 1214; l'accompagnavano frate Masseo, frate Angelo Tancredi e l'inseparabile frate Leone.
I quattro penitenti risalirono il Tevere sino a Città di Castello, presso cui sostarono nel convento di Buonriposo.
Il giorno successivo, raggiunsero Caprese, e da lì, per Chiusi, salirono alla Verna.

Un episodio pieno di freschezza genuinamente francescana è quello dell'accoglienza festosa riservata dagli uccelli a s. Francesco, mentre, prima di salire sul monte, «a piè del sasso proprio della Verna», volle «riposarsi un poco sotto una quercia che era in sulla via» (Della prima considerazione delle sacre sante istimate).
Quella stessa quercia si conservò per molto tempo, e nel 1602, al suo posto, fu edificata la cappella degli uccelli.

Francesco, dopo il riposo ristoratore, salì ancora un poco e trovò, quasi disfatto, il tugurio preparato l'anno precedente dai frati inviati a vedere il monte. Era proprio quello che desiderava: un monte solitario, selvatico, privo d'ogni conforto, senz'alcuna difesa. Era così la Verna. Ne prese possesso con gioia e vi tornò ripetutamente.

Le cronache francescane riferiscono che l'apostolo umbro salì l'erta del monte nel 1215, nel 1216, nel 1217; poi sul finire dell'estate del 1224: la sosta più lunga, che trasformerà la Verna nel «Calvario serafico», con l'impressione delle stimmate nel corpo del poverello assisiate.

Le fonti tramandano che, alla Verna, Francesco, sin dalla prima permanenza, volle vivere in una continua ricerca di imitazione di Gesù Cristo, povero e crocifisso.
Quel luogo corrispondeva perfettamente al suo ideale e alle sue aspirazioni.
L'ansia e il desiderio di Dio raggiunse qui l'acme dell'amore e del dolore.
La stessa disposizione del monte: le profonde aperture dei macigni, gli antri e le caverne gli ricordano la passione e la morte di Gesù sul Calvario.
Aveva presente il Santo Vangelo: «la terra si scosse, le pietre si spezzarono» (Mt 27,51).
Anche quelle della Verna erano state aperte nello stesso momento in cui morì Cristo - gli confidò un angelo. «D'allora innanzi santo Francesco per la continua orazione cominciò ad assaggiare più spesso la dolcezza della divina contemplazione» (Della seconda considerazione delle sacre sante istimate), e amò di più questo monte.

Alla Verna egli trovò povertà indicibile e ne gioì. L'amò, rivivendola fino all'estremo e la raccomandò agli altri frati: «Non ragguardate tanto alla caritatevole profferta di messere Orlando, che voi in niuna cosa offendiate la nostra donna, madonna povertà. Abbiate di certo che quanto noi più schiferemo la povertà, tanto più il mondo schiferà noi e più necessità patiremo» (Della seconda considerazione delle sacre sante istimate).
Quassù Francesco trovò la solitudine immensa; la volle vivere pienamente, difendendola anche dal conversare con gli altri frati (vd. Della seconda considerazione delle sacre sante istimate).
La vita di Francesco alla Verna risulta essere una preghiera e continua penitenza; quassù si sente povero e peccatore. Vuole spogliarsi di tutto: rinunzia anche alla pelle salvata dal fuoco: l'unica cosa che aveva per coprirsi nel breve riposo della notte.
Il totale ritiramento e la sua immersione in Dio, non gli impedivano di pensare ai suoi frati e di pregare per loro: «Signore Iddio - pregò Francesco - che sarà dopo la mia morte della tua famiglia poverella, la quale per la tua benignità hai commessa a me peccatore?». Immediatamente il Signore intervenne a consolarlo e a dissiparne i dubbi. Il Cristo medesimo gli parlò: «Io ti dico che la professione dell'Ordine tuo non mancherà insino al dì del giudizio... Non ti contristare se nella tua religione tu vedi alcuni frati non buoni, i quali non servano la regola come debbono, e non pensare però che questa religione venga meno» (Della seconda considerazione delle sacre sante istimate).

Gli apparì la Vergine Madre di Dio, manifestandogli il desiderio di avere anche su questo monte una chiesetta a Lei dedicata (che sarà edificata negli anni 1216-1218).
E anche gli angeli lo confortarono, quando l'estenuazione del corpo per la preghiera, per le continue penitenze e le molestie dei demoni, furono più grandi.
Aumentò i gemiti e le preghiere e la sua anima si elevò più in alto, a Dio.
Più volte frate Leone e i compagni lo videro elevato da terra, estatico.
Una volta, frate Leone lo vide elevato in alto e circonfuso da una grande luce; un'altra volta lo vide tanto in alto da essere appena veduto e una cedola pendeva da lui su cui era scritto: qui è la grazia di Dio (vd. Della seconda considerazione delle sacre sante istimate).

Sul finire dell'estate 1224, s. Francesco decise di trascorrere alla Verna la quaresima di S. Michele Arcangelo.
Forse a questo viaggio è legato l'episodio del contadino che ammonisce l'assisiate: «Ingegnati d'essere così buono come tu se' tenuto da ogni gente, perciò che molti hanno gran fede in tè, e però io ti ammonisco che in tè non sia altro che quello che la gente ne spera».
Il santo, immediatamente, si sarebbe gettato ai suoi piedi, per ringraziarlo per una ammonizione così piena di carità. Poi, quasi a conferma d'amore venne il miracolo. Il contadino, spossato dal caldo e dalla fatica del viaggio, cominciò a reclamare almeno un goccio d'acqua. Francesco, sceso di cavallo, pregò a lungo, finché ebbe da Dio l'assicurazione che sarebbe sgorgata acqua dalla pietra per dissetarli. Il contadino poté bere copiosamente (vd. Della prima considerazione delle sacre sante istimate).

Giunti sulla montagna, il poverello di Dio, spinto da una voce interiore che gli aveva promesso grandi cose durante quel soggiorno, precisò ai suoi compagni : «Questo è il modo di vivere, il quale io impongo a me e a voi; e però che lo mi veggio appressare alla morte, io m'intendo di star solitario e raccogliermi con Dio e dinanzi a lui piagnere i miei peccati. E frate Leone, quando gli parrà, mi recherà un poco di pane e un poco di acqua, e per niuna cagione lasciate venire a me veruno secolare, ma voi rispondete loro per me» (Della seconda considerazione delle sacre sante istimate).

Si ritirò, dunque, nella cella del faggio, ove stando in meditazione più giorni, gli fu rivelato che le paurose spaccature della montagna erano state miracolosamente prodotte nell'ora della morte di Cristo; ciò spinse Francesco ad immergersi maggiormente nel mistero della Passione.
Ci fu fratello falcone che ogni notte, all'ora di mattutino, col canto e con il batter d'ali, lo ridestava.

Trascorsero così i giorni di preghiera e di digiuno, tra continue estasi, durante le quali il santo parlava a lungo con Dio, anche a voce alta, dimodoché frate Leone ha potuto trasmettercene l'eco.
Una notte intera, per esempio, fu trascorsa dal santo nella ripetizione di una sola frase: «Chi se' tu, o dolcissimo Iddio mio, e chi sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?».
Un'altra notte di preghiera intensa fu quella durante la quale Francesco pregò in questa forma: «Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia innanzi che io muoia: la prima è che, in vita mia, io senta nell'anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nell'ora della tua acerbissima passione; la seconda si è ch'io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, figliolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori» (Della terza considerazione delle sacre sante istimate).

Ed ecco, finalmente, il momento dell'immolazione completa: «Una mattina, verso la festa dell'esaltazione della Croce, mentre era in preghiera sul pendìo della montagna, vide scendere dal cielo un Serafino con sei ali tanto ignee quanto luminose. Quando pervenne, con volo sveltissimo, presso il Servo di Dio, tra le ali apparve l'effige del Crocifisso. La visione lasciò un mirabile ardore nel suo cuore; ma nello stesso tempo, in modo non meno meraviglioso, lasciò nelle sue carni i segni delle stimmate. Immediatamente, incominciarono ad apparire i segni dei chiodi nelle mani e nei piedi, come prima gli erano apparsi nella visione del Crocifisso; anche il suo lato destro, come trapassato da un colpo di lancia, aveva la cicatrice rossa di una piaga, dalla quale spesso usciva sangue» (Leg. maior, XIII, 3).

Nelle «Considerazioni sulle stimmate», ci sono degli altri particolari: «In questa apparizione mirabile, tutto il monte della Verna parea che ardesse di fiamma splendissima, la quale risplendeva e illuminava tutti i monti e le valli d'intorno, come se fosse sopra la terra il sole; onde i pastori che vegliavano in quelle contrade, veggendo il monte infiammato e tanta luce d'intorno, si ebbero grandissima paura, secondo ch'eglino poi narrarono ai frati, affermando che quella fiamma era durata sopra il monte della Verna per spazio di un'ora e più» (Della terza considerazione delle sacre sante istimate).

In quegli stessi giorni, Francesco, l'alter Christus, volle fare un dono al fraterno Leone: gli chiese «di portargli inchiostro e carta e vi scrisse le Lodi del Signore, firmandole con la benedizione di propria mano» (Leg. maior, XI, 9).
Dopo la festa di S. Michele Arcangelo (29 settembre), lo stimmatizzato, trasformato nell'immagine di Cristo crocifisso, discese dal monte della Verna, per tornare alla Porziuncola.
Nonostante la sua preoccupazione di occultare quelle piaghe miracolose, la fama del prodigio era corsa nella vallata; quindi, lungo il percorso, tutti correvano a vederlo e a baciargli le mani.
Prima che la montagna scomparisse dall'orizzonte, il santo si girò verso di essa ed esclamò: «Addio, montagna. Addio, monte della Verna. Addio, monte degli Angeli. Addio, a te che mi sei tanto caro. Fratello falco, io ti ringrazio della sollecitudine che mi hai dimostrato, addio. Addio, Sasso spicco: mai più ti rivedrò. Addio, roccia, che mi hai ricevuto nel tuo seno, quando il demonio restò scornato».

Dalla Verna al castello di Chiusi, poi a Monteacuto, ad Anghiari, a Borgo S. Sepolcro, a Montecasale, poi a Città di Castello e, lungo il percorso del Tevere, a Perugia, Collestrada, a S. Maria degli Angeli.
Ci vollero più giorni, sia perché il santo non poteva camminare (dovette infatti servirsi di un somarello), sia perché la folla lo fermava non soltanto per venerarlo, ma anche per presentargli i malati, molti dei quali furono da lui guariti.
Ed anche questi ricordi vanno meditati, lungo la strada da e per la Verna.

***

II monte della Verna è ricordato e visitato, quindi, per i luoghi santificati da s. Francesco e in modo particolare per la manifestazione del Cristo crocifisso, per cui è detto: «Calvario serafico».
La Verna è tutto un santuario: la «cittadella dei santuari», la definì Giovanni Papini (1881-1956).
Inizia alla sua base e continua sino alla Penna.
Anche il bosco conserva ricordi dell'apostolo assisiate e di altri santi frati che vi hanno dimorato, pregato e fatto penitenza: la cappella degli Uccelli, la chiesa di S. Maria degli Angeli, la seconda cella - oggi cappella della Croce - la chiesa delle Stimmate, le cappelle di S. Antonio e di S. Bonaventura, la grotta di frate Leone; e salendo verso la Penna si trova la cappella del Faggio, dove il Cristo si manifestò e conversò familiarmente con il b. Giovanni della Verna (1259-1322), e poco distante, quindi, la cappella del b. Giovanni della Verna; salendo ancora, il masso di fra Lupo.
Ognuno di questi luoghi conserva una propria, delicatissima storia.

Nel 1214, quando Francesco salì la prima volta alla Verna, essa era un luogo selvatico.
Convento, chiese, cappelle, foresterie e gli altri edifici sono sorti nel corso dei secoli.
La prima costruzione fu S. Maria degli Angeli, fatta edificare da Francesco, tra l'anno 1216 e 1218, con l'aiuto del conte Orlando, secondo l'indicazione di luogo e di dimensioni dategli dalla Vergine Madre di Dio.
Le capanne o qualche cosa di simile rimasero ancora per molti anni.

I primi documenti - atti episcopali e papali - circa la costruzione del convento, sono: il primo del vescovo di Arezzo Marcellino Pete (1236-1248), il quale, in data 17 giugno 1239, scrive al clero e ai fedeli della diocesi, esortandoli a sollevare con la loro carità, «la miserevole vita di essi» (S. Mencherini, Codice diplomatico, Firenze 1924, n. 10); l'altro documento è la bolla di papa Innocenzo IV (1243-1254): «Quoniam, ut ait Apostolus», del 17 novembre 1250, in cui il papa concede 40 giorni d'indulgenza a coloro che aiuteranno i frati Minori della Verna a completare la chiesa e gli altri edifici in costruzione (Codice diplomatico, n. 11). Si aggiunse, il 23 marzo 1256, la lettera del vescovo d'Arezzo Guglielmino Libertini (1248-1289), in cui esorta i fedeli a fare offerte ai frati della Verna, concedendo agli offerenti 40 giorni di indulgenza (Codice diplomatico, n. 12).

Tra il 1239 e il 1300 fu certamente realizzato il primo blocco dell'attuale dormitorio dei frati.
I lavori ripresero, probabilmente, verso il 1306.
Questa volta è il potente cardinale Napoleone Orsini, legato pontificio di papa Clemente V (1305-1314) per l'Italia, che intervenne il 10 luglio 1306, concedendo 100 giorni d'indulgenza a quanti portavano viveri, e ancora ulteriori 40 giorni a coloro che aiutatavano i frati (Codice diplomatico, n. 40).
Un altro intervento, particolarmente efficace, fu quello del vescovo e signore d'Arezzo Guido Tarlati (1313-1327), il quale, nella lettera datata 30 settembre 1322, concede 40 giorni d'indulgenza a quanti cooperavano «pro necessitate fratrum in loco ipso devoto habitantium certum ceperunt opus construere, quod absque suffragium fidelium Ihesu Christi nequeunt percomplere» (Codice diplomatico, n. 33).
Concorsero certamente ad aiutare i frati anche la visita dell'imperatore Enrico VII (1308-1313), il quale prese la Verna sotto la sua protezione e dell'impero, e del re Roberto e della sua consorte Sancia, regina di Napoli.

Nel 1420 era certamente terminato il quadrato centrale, cioè l'attuale dormitorio dei frati; lo afferma Agostino di Miglio (1501-1590): «Et tali fabbriche furono fatte innanzi alla nostra osservanza» (Nuovo dialogo, Firenze 1568, p. 209).
In un terzo periodo sono state aggiunte, un po' confusamente, le altre costruzioni: le officine e i locali del bestiame (a. 1517, ricostruiti altrove nel 1952), il chiostro grande (1502), l'infermeria e farmacia-spezieria (1517-1549), la foresteria interna (1549), la biblioteca (1557).

Con il convento si realizzarono anche le chiese e le cappelle sia annesse al santuario che disseminate nel bosco.
In ordine di tempo vengono prima la chiesa delle sacre Stimmate e la cappella della Croce, fatte costruire dal conte Simone Guidi di Battifolle (1263): «A.D. M.CC.LXIIII. Feria V. Post festum Assumptionis gloriose virginis Mariae, Comes Simon filius illustrissimi viri comitis Guidonis Dei gratia in Tuscia palatinus. Fecit fundari istud oratorium ad honorem beati Francisci ut ipse cui in loco isto Seraph. apparuit sub anno Domini MCCXXV, infra octavam Nativitatis Christi - Consignet eum gratta Spiritus Sancti».

Qualche anno dopo furono costruite anche le cinque celle (1267) per quei religiosi che dovevano custodire il luogo dell'apparizione del Cristo Crocifisso a s. Francesco.
Seguì, circa un secolo dopo, la costruzione della chiesa Maggiore col favore di Tarlato Tarlati, allora conte di Chiusi. Lo attesta l'iscrizione posta a destra di chi entra: «A.D. MCCCXLVIII. Nobilis miles dominus Tarlatus de Petra Mala et Domina comitissa Iohanna de Sancta Flora uxor eius edificari fecerunt istam ecclesiam ad honorem beate Mariae semper Virginis».
Questa chiesa fu terminata nelle strutture murarie e il tetto nel 1459.
Il campanile fu costruito su un altro preesistente, dai signori Bartoli di Firenze tra il 1486 e il 1490, con le pietre tolte dal castello del conte Orlando.

Il lungo loggiato che unisce la chiesa Maggiore a quella delle Stimmate fu costruito tra il 1578 e il 1582.
Vi furono, sin dalla costruzione ultimata, affreschi illustranti la vita di s. Francesco. Scomparsi i primi, il loggiato, nel 1670, fu affrescato da Emanuele da Como, frate Minore; i più recenti sono di Baccio Maria Bacci, pittore fiorentino (1888-1974).

La Verna conserva ricchezze artistiche di valore inestimabile.
Prima fra tutte le tavole di Andrea della Robbia (1435-1528), che ha qui le opere più belle della sua arte.
Sono in tutte, tra grandi e piccole, in numero di 14.
Alcune sono forse di Giovanni (1469-1539), suo fratello e una della sua Scuola.
Ugualmente, è ricca di paramenti sacri, alcuni dei quali risalenti al 1500.
La chiesa Maggiore è poi dotata di un potente e modernissimo organo con oltre cinque mila canne.

Il convento e la foresteria interna possono ospitare circa 150 persone.
In passato la famiglia dei frati era molto numerosa, tanto da raggiungere 80 e anche 90 religiosi.
Attualmente è composta di 37 unità.
La vita quotidiana, in inverno, è costituita dalla preghiera, dallo studio-lavoro, dalle predicazioni; in estate, si aggiunge l'accoglienza e cura spirituale dei pellegrini di tutte le parti del mondo, che sempre più numerosi, visitano la Verna.
Una funzione particolare, che tanto impressiona chi vi assiste, è la processione pomeridiana alla chiesa delle Sacre Stimmate.
Questo devoto omaggio dei frati a s. Francesco stimmatizzato risale a molti secoli fa, precisamente al 1432; fu istituita dai nuovi custodi del santuario.

II fascino che il monte della Verna suscitò in Francesco, si è ripetuto costantemente in sette secoli di storia francescana, e si ripete anche oggi.
Mariano da Firenze dedica gli ultimi tre capitoli del Dialogo a questo argomento:
«a) Come questo sacro monte è da tucte le creature amate et imprima come è stato amato da Dio et dalla Vergine Maria et dalle creature sancte;
b) Come questo monte è stato amato et privilegiato da' sommi pontefici, cardinali et vescovi;
c) Come questo sacro monte è stato amato et riverito da Signori temporali et maxime da Henrico Imperatore et anchora creature inrationabili»
.
Come mostrano i titoli di questi capitoli non sono soltanto i frati minori quanti salgono alla Verna in cerca di pace dell'animo, immergendosi nella divina contemplazione.

Chi maggiormente è stato affascinato dal monte, spettatore della manifestazione del Cristo Crocifisso, fu s. Bonaventura (1217-1274). Egli si fermò in questo luogo nel 1259, quanto più poté.
Meditò a lungo «sulla possibilità che ha l'anima di ascendere a Dio; ricordò il prodigio che si era compiuto in quel luogo in favore del beato Francesco. Meditando su questo argomento, gli sembrò immediatamente che quella visione raffigurasse l'estasi contemplativa del medesimo padre e la via per giungere ad essa» (S. Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum, Prolog., n. 2).
Su questo monte scrisse l'«Itinerarium», che sarà perenne dimostrazione del potere mistico del monte della Verna.
Come in Francesco, anche in Bonaventura ebbe un fascino ascetico determinante per capire la povertà, il raccoglimento e la lotta contro se stessi, e lo trascrisse nell'altro opuscolo, scritto anch'esso alla Verna: «De triplici via» o «Itinerarium mentis in se ipsam», che, unito al primo, potrebbero avere il titolo: «La salita del monte della Verna».

Non minore fu il fascino che questo luogo suscitò nell'animo di frate Ubertino da Casale (1259-1338), anche se il suo fu un soggiorno comandato, dopo una sua predicazione a Perugia. Se non fosse stato alla Verna, probabilmente non avremmo quella grande opera: «Arbor vitae crucifixae Iesu Christi».
Nel V libro, al capitolo IV: «Gesù Serafino alato», Ubertino tratta ampiamente delle Stimmate e dei vari significati delle medesime, ed esalta il monte della Verna quale fonte di grazia e di vita francescana genuina.

Nello stesso periodo e molto più a lungo dimorò alla Verna il b. Giovanni da Fermo o della Verna (1259-1322), il quale raggiunse l'esperienza dell'intimità e contatto con Cristo e ne ha lasciato un itinerario, per chi la vuol raggiungere, ne «I gradi dell'anima».

Scorrendo i secoli troviamo s. Bernardino da Siena (1380-1444), che scrisse un elevato sermone: «De sacris stigmatibus divi Francisci», nel quale, avvinto dal prodigio della Verna, inneggia e plaude a questo monte santo. Così s. Giacomo della Marca (1391c-1476) e s. Giovanni da Capestrano (1385-1456), che qui venne per redigere le costituzioni per i frati Minori dell'Osservanza.

Se si dovesse tener dietro a quanti, nei secoli, hanno sentito il fascino della Verna sarebbe troppo lungo.
Tuttavia è doveroso ricordare che anche ai nostri giorni questo sacro luogo non ha perduto il suo fascino.
Tante cose sono passate e altrettante ne passeranno, ma la Verna, come nel passato, conserverà, inalterato, questo suo fascino.

(Per approfondimenti, visitare il sito ufficiale della Verna: www.laverna.it).

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Sotto sono:

- «La Verna», tratto da «Giovanni Joergensen, Il libro del Pellegrino, Un itinerario francescano, 1903».

- AA.VV., «Altro monte non ha più santo il mondo - Storia, architettura ed arte alla Verna dalle origini al primo Quattrocento», Atti del Convegno di Studi - Convento Verna, agosto 2011 (Firenze 2012)

 

«La Verna» di Giovanni Joergensen, 1903
AA.VV., «Altro monte non ha più santo il mondo ...»