Cortona e dintorni (AR)

 

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A qualche chilometro dalle mura di Cortona, è il fascinoso santuario de Le Celle, un interessantissima pagina della vita di frate Francesco.
Il santo assisiate, ottenuto dal pontefice il riconoscimento della sua Forma di vita e la facoltà di predicare ovunque (1210), dette inizio ad un autentico itinerario apostolico, identificabile nella direttrice: Perugia-Cortona-Arezzo-Firenze.
Così, nel 1211, il santo della pace, visitata la città di Cortona, si trasferì a Le Celle, dove dimorò il tempo necessario a edificare una piccola e umilissima struttura conventuale.
Utile puntualizzare che il territorio, appartenente ad una abbazia camaldolese, era allora ingentilito da una cappellina intitolata a S. Michele Arcangelo (ben visibile in una tela all’interno del convento, che lo raffigura sul colle sovrastante Le Celle), la quale, presumibilmente, fu visitata da Francesco d’Assisi.

Quella prima dimora a Le Celle, sottolinea le inclinazioni di Francesco: egli era solito alternare periodi di attività apostolica a momenti d’intenso ritiro e contemplazione; questi secondi momenti spiegano il motivo per cui egli ricercasse spazi di grande solitudine, zone boscose, luoghi ove abbondavano rocce e anfratti.

Il nome Le Celle, preesistente alla venuta dell’apostolo umbro, era forse dovuto alla presenza di piccole fabbriche - di preferenza mulini - dislocate, sino ad epoca recente, lungo il corso del torrente, per sfruttare l’impeto delle acque. Nel complesso, però, il luogo doveva apparire remoto e selvaggio.
Francesco non era solo quando giunse a Cortona: nella tappa successiva che lo vide ad Arezzo, viene infatti ricordato in compagnia di frate Silvestro.
Al suo arrivo a Le Celle, il santo scelse quale dimora un anfratto, che, stando agli esperti, non è difficile individuare: guardando all’esterno la struttura brasata sul fosso, la si vede aperta a mo’ di ventaglio; all’interno, nell’attuale oratorio intitolato all’assisiate, è visibile un blocco di pietra, solo più tardi tagliato a filo di muro, ma che originariamente doveva formare un costone roccioso, oltrepassato il quale il masso mutava inclinazione, scendendo in verticale e lasciando in tal modo un spazio libero, una specie di nicchia naturale pronta ad ospitare qualcuno in cerca di solitudine.
L’abitacolo fu completato, certamente, da una parete di sassi sovrapposti e un tetto di paglia.

Questo luogo prescelto da Francesco, forse nello stesso anno della sua prima permanenza, fu trasformato con l’aggiunta di qualche muro perimetrale nella celletta tuttora visibile e che è a capo di una stanza rettangolare, originariamente destinata a dormitorio dei compagni del santo.
Le celle dei suoi fratres (luoghi preposti alla preghiera individuale) non dovevano essere diverse, inizialmente, da quella del loro Maestro; erano, quindi, «celluzze di rami d’arbori», come le designano i Fioretti parlando della Verna.
Le opere in muratura, per intervento del costruttore (nome che ben si può dare a frate Elia), qui iniziarono molto prima che alla Verna, cioè appena quattro anni dopo la morte di s. Francesco (1230), tanto è vero che questa tempestività scandalizzò Salimbene da Parma, il quale addebita a frate Elia di essersi costruito un luogo bellissimo, ameno e dilettevole sonvento che si chiama tuttora Celle di Cortona (vd. F.F. 2616).
Delle celle prima esistenti, di cui si è trovato traccia a monte di quella di Francesco, è abbastanza comprensibile come frate Elia abbia salvato solo quella del santo, ricostruendola in muratura, e che così si è venuta a trovare isolata e unica come è al presente.

Complessivamente la costruzione di frate Elia comprende lo spazio antistante la cella di s. Francesco (convertito nel ‘600 in oratorio ); il piano superiore destinato verosimilmente ai servizi della comunità, e un altro piano ancora, destinato alle celle dei frati, più un altro braccio che s’incunea verso il monte comprendente il piano del refettorio e, sopra a questo, altre celle dei frati.

Stando alle fonti, il poverello di Assisi, lasciato il tugurio de Le Celle, avrebbe raggiunto l’Isola Maggiore del lago Trasimeno, per celebrarvi la Quaresima; tornò nel romitaggio cortonese nel 1215, reduce dalla sua missione in Spagna; infine, nel 1226, pochi mesi prima di morire, mentre stava tornando ad Assisi da Siena, vi fece l’ultima sosta (molti sostengono che durante detta sosta, Francesco abbia dettato il Testamento, uno dei suoi scritti più preziosi, dove ripercorre, in sintesi, l’intera sua esperienza spirituale).

Narra Tommaso da Celano: «Sei mesi prima della sua morte, [Francesco], dimorando a Siena per la cura degli occhi, cominciò ad ammalarsi gravemente per tutto il corpo.
A seguito di una rottura dei vasi sanguigni dello stomaco, a causa della disfunzione del fegato, ebbe abbondanti sbocchi di sangue, tanto da far temere imminente la fine.
Frate Elia, a quella notizia, accorse in fretta da lontano e, al suo arrivo, Francesco migliorò al punto che poté lasciare Siena e recarsi con lui alle Celle presso Cortona.
Ma dopo pochi giorni dall’arrivo, il male riprese il sopravvento: gli si gonfiò il ventre, si inturgidirono gambe e piedi, e lo stomaco peggiorò talmente che gli riusciva quasi impossibile ritenere qualsiasi cibo.
Chiese allora a frate Elia il favore di farlo riportare ad Assisi.
Da buon figliuolo questi eseguì la richiesta del caro padre prendendo tutte le precauzioni necessarie, anzi ve lo accompagnò personalmente.
L'intera città esultò alla venuta del Santo e tutti ne lodavano Iddio, poiché tutto il popolo sperava che il Santo finisse i suoi giorni tra le mura della sua città, e questo era il motivo di tale esultanza»
(I Cel., 105).

Scrive ancora il Celanese: «Un fatto simile [donazione del proprio mantello] accadde alle Celle di Cortona.
Francesco aveva indosso un mantello nuovo, che i frati avevano procurato proprio per lui, quando giunse un povero, che piangeva la morte della moglie e la famiglia lasciata nella miseria. “Ti do questo mantello per amore di Dio - gli disse il Santo - a condizione che non lo ceda a nessuno, se non te lo pagherà profumatamente”.
Corsero immediatamente i frati per prendersi il mantello e impedire che fosse dato via.
Ma il povero, reso ardito dallo sguardo del Santo, si mise a difenderlo con mani ed unghie come suo.
Alla fine, i frati riscattarono il mantello ed il povero se ne andò con il prezzo ricevuto»
(II Cel., 88).

Sin dal momento del primo insediamento francescano a Le Celle, fu edificata anche una minuscola cappella su di un piano rialzato, come documenta il fatto che, almeno sino al 1705, all’entrata dell’attuale refettorio dei frati, esisteva un vano devotamente custodito, con l’altare sul quale avrebbe celebrato s. Antonio da Padova: il che fa datare la cappella ad un’epoca anteriore al 1231, anno, questo, della morte del santo portoghese.
Nel 1232 sarà frate Elia, succeduto a Francesco nella guida dell’Ordine, a rivedere e a consolidare, quindi, le precedenti strutture.
Nel contesto della primitiva storia francescana, Le Celle iniziano a perdere importanza quando, ad iniziare dal 1245-1246, causa l’enorme diffusione dell’Ordine e sempre per opera di frate Elia, ebbe inizio a Cortona la costruzione della chiesa di S. Francesco e dell’attiguo convento, con criteri ben diversi da quelli usati per l’umile conventino de Le Celle.

Il venerando luogo non venne però abbandonato: nel 1247 frate Elia risulta abitare nel romitaggio; lo stesso frate è ancora qui nel 1253, nel corso della sua ultima malattia; una testimonianza giurata di frate Bonizio, lo dichiara presente «in Cella sua quae est in sylva», tenendo presente che «la selva» non è altro che un sinonimo per indicare in antico Le Celle.

Successivamente, per circa tre secoli, il luogo venne ad essere caratterizzato da un lungo periodo di dimenticanza e di silenzio, di decadenza e di abbandono.
Nella seconda metà del Duecento, l’eremo passò infatti al ramo francescano cadetto e spurio dei Fraticelli, i quali, sospettati in seguito di eresia, verranno cacciati nel 1318, e lo stabile, non reclamato dai francescani, passò alla diocesi di Cortona, che muterà addirittura il nome in S. Angelo alle Celle, con riferimento al sovrastante santuario di S. Michele Arcangelo.

E’ nel 1537 che i Cappuccini, nati con spiccata vocazione alla «vita heremitica», ottennero dal vescovo di Cortona, Leonardo Bonafede, il permesso di stanziarsi nel convento de Le Celle (dove si trovano ancora).
A più riprese, dall’anno del loro arrivo, sino alla seconda metà del Settecento, essi ampliarono il conventino con nuove aggiunte, le quali, per non essere previste da un preciso progetto, conferiscono oggi al complesso quella caratteristica di disordinata semplicità, che ne definisce e ne accentua la particolare fisionomia.

Per secoli, dal 1564 sino a pochi anni fa, questo luogo, ulteriormente ingentilito dalla presenza di Cappuccini «chiari di fama e santità», è sempre stato il «luogo di Noviziato», che risiedeva nella parte più alta e più lineare del convento.
Il noviziato fu trasferito negli anni ‘80, per i grandi lavori di contenimento del colle sovrastante, il quale premeva sulle strutture murarie sottostanti. Lavori che fortunatamente hanno dato, sino ad ora, l’esito sperato.

Il santuario è conservato ancora nella sua forma primitiva, ed offre magistralmente l’idea di ciò che si suole intendere per abitazione francescana.
Tommaso da Celano, nei suoi scritti, come già riferito, cita più volte l’eremo de Le Celle, legato al desiderio di solitudine di frate Francesco, al suo spirito di preghiera, alla sua carità, ad una primitiva esperienza di penitenza da parte di due coniugi: «Mentre il servo di Dio si recava alle Celle di Cortona, una nobildonna di Volusiano gli andò incontro in tutta fretta. Dopo lungo cammino, finalmente lo raggiunse ansimante, perché era persona molto delicata e gracile. Quando il padre santissimo la vide così sfinita e trafelata, ne ebbe compassione e le chiese: “Cosa desideri, donna?”. “Padre, che tu mi benedica”. E il Santo: “Sei sposata o no?”. “Padre,- rispose - ho un marito molto crudele, che mi è di ostacolo nel servire Gesù Cristo. E’ questo il mio vero tormento: a causa sua non posso mantenere i buoni propositi che il Signore mi ispira. Perciò ti chiedo, o Santo di pregare per lui, affinché Dio nella sua misericordia gli muti il cuore”.
Il Padre rimase ammirato della donna dotata di un animo virile e così piena di senno pur essendo di giovane età. E le rispose molto commosso: “Va, figlia benedetta, e sappi che tuo marito in futuro ti sarà di consolazione”. E aggiunse: “Gli dirai da parte di Dio e mia, che ora è tempo di salvezza, ma più tardi di giustizia”. E la benedisse.
La donna se ne tornò a casa ed incontrato il marito riferì quanto le era stato ordinato.
Lo Spirito Santo scese improvvisamente su di lui, e trasformatolo da vecchio in uomo nuovo, lo indusse a rispondere con tutta dolcezza: “Donna, serviamo il Signore e salviamo le nostre anime qui nella nostra casa”. “A me pare - soggiunse la moglie - che dovremmo porre come fondamento, per così dire, nella nostra anima la continenza, e poi edificarvi sopra le altre virtù”. “Sì, piace anche a me, come precisamente a te”, concluse il marito.
Vissero molti anni in castità, e poi passarono da questa vita beatamente nello stesso giorno, uno come olocausto del mattino e l’altro sacrificio della sera.
Donna invidiabile, che ha piegato così il marito alla vera vita! Si avvera in lei il detto dell’Apostolo: il marito non credente si salva per mezzo della moglie credente. Ma queste donne, come dice un proverbio assai comune, oggi si possono contare sulle dita»
(II Cel., 38).

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Nell'articolo: Le «orme» di fratello Francesco a Cortona e dintorni (AR), saranno trattati:

° Convento-Santuario Le Celle

° Giovanni Joergensen, pellegrino a Le Celle

° Chiesa di S. Francesco d'Assisi in Cortona

° Santuario di S. Margherita da Cortona

° S. Margherita da Cortona

° S. Lucchese da Poggibonsi, primo Terziario

° Basilica di S. Lucchese da Poggibonsi

° Arezzo

 

Le «orme» di fratello Francesco a Cortona e dintorni (AR)